nostro inviato a Roccaraso (L’Aquila)
«Un accordo senza di noi è impossibile, non siamo aggirabili». Anche perché se dovesse passare il referendum e i «Sì» vincessero «a noi andrà bene comunque. Non accettiamo un compromesso al ribasso». Frasi attribuite a Silvio Berlusconi. Apparentemente scontate, nel senso che il perno della nuova legge elettorale non potrà che essere un’intesa tra Forza Italia e il Partito democratico, ma che danno l’idea di quanto sia ancora accidentato il percorso che dovrebbe portare a un nuovo sistema di voto, prima che il referendum imponga il proprio.
I giochi si stanno complicando sul fronte che nei giorni scorsi aveva fatto registrare la schiarita meno attesa, quella con l’Udc di Pier Ferdinando Casini.
Dopo aver incontrato il leader del Pd Walter Veltroni, in un incontro che l’ex presidente della Camera aveva definito positivo, ieri i centristi hanno fatto fronte comune con Rifondazione comunista e Sinistra democratica per introdurre modifiche alla bozza Bianco, in modo da renderla meno indigesta ai partiti medi. Una serie di misure, come la distribuzione dei resti (cioè dei voti non utili all’elezione di un parlamentare) su scala nazionale, che mirano ad evitare il bipartitismo e che, se passassero, renderebbero il progetto molto simile a un sistema tedesco. Cioè a un proporzionale, che ha come unico incentivo all’aggregazione dei partiti la soglia al 5 per cento.
Proposte bocciate esplicitamente da Fabrizio Cicchitto, vice coordinatore di Forza Italia che ieri ha fatto capire come Forza Italia non intenda arretrare rispetto a una soluzione - la bozza Bianco - che già considera un compromesso. Il primo partito italiano non intende accettare niente che assomigli al sistema tedesco. Ancora più nel dettaglio, vuole un «alto sbarramento» tra il 5 e il 7 per cento, il voto unico per il candidato all’uninominale e per la parte proporzionale, e i resti distribuiti a livello di singolo collegio. Misure che vanno in direzione opposta rispetto a quelle indicate dai partiti medio-piccoli. E che mirano ad «alzare l’asticella» ad un livello non gradito ai centristi dell’Udc nel centrodestra, ma anche a Rifondazione comunista nel centrosinistra. Quindi un rebus di difficile soluzione per il sindaco di Roma.
Anche perché se a Forza Italia dovesse arrivare una proposta troppo diversa rispetto ai punti che erano stati concordati con Veltroni gli azzurri potrebbero rifiutare l’intesa e aspettare che il quesito referendario faccia il suo corso.
Nessun problema, invece, con Alleanza Nazionale. L’indicazione della coalizione e del leader è un principio che Forza Italia ha già accettato da tempo. Ma potrebbe creare qualche problema alla sinistra, che si appresta al vertice sulla riforma con più d’una fibrillazione.
Segnali che i palazzi della politica ieri hanno registrato e che hanno fatto tornare la lancetta del barometro delle riforme sul cattivo tempo. Conta anche il clima. A ricordarlo ieri è stato Giulio Tremonti, anche lui alla kermesse di Forza Italia sulla neve ideata dal senatore Sabatino Aracu. «Se volete fare avanzare le riforme, fate arretrare il governo. Fategli fare un passo indietro». Dite al presidente Romano Prodi «di smetterla di fare continuamente polemica. Chiudetelo in una stanza», ha detto al sottosegretario alla presidenza del consiglio Enrico Letta, durante un faccia a faccia. Il riferimento dell’esponente azzurro è agli attacchi del premier contro Silvio Berlusconi. E, anche se non in modo esplicito, al rilancio del conflitto di interessi, interpretato come tentativo di Prodi di rendere ancora più difficili i tentativi di Veltroni.
Letta ha negato l’esistenza di un piano di Palazzo Chigi contro il Pd e Fi, ma ha ammesso come sulla legge elettorale «ognuno dovrebbe fare un passo indietro». Lo schema è simile a quello che animò la Bicamerale per le riforme degli anni Novanta. «Il governo governi e il Parlamento faccia le riforme», è l’auspicio di Letta.
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