Politica

Bersani chieda la testa dei sindaci del Pd declassati da S&P

Dopo aver preteso le dimissioni di Berlusconi, ora il leader del Pd agisca con coerenza

Bersani chieda la testa 
dei sindaci del Pd 
declassati da S&P

Siamo certi: la direzione del Pd è già stata convo­cata. Siamo certi: tra poco udiremo le parole di fuoco del segretario Bersani. È ovvio, è eviden­te, è conseguente: chiederà la dimissioni dei sin­daci di Milano e di Bologna, dei presidenti della Provincia di Roma e di Mantova, dei governato­ri di Liguria ed Emilia Romagna. Dirà che non c’è più tempo, che bisogna intervenire subito. «Oh ragassi, non siamo mica qui a fare la ceretta allo Yeti». Dirà così, ne siamo certi. E poi aggiungerà che i re­sponsabili del disastro finanzia­rio devono andare a casa. «Oh ra­gassi, non siamo mica qui a mette­re le bucce di banana nel pala­ghiaccio... ».

Siamo sicuri che Bersani dirà co­sì, non può fare altrimenti, dopo l’annuncio di Standard and Po­or’s che ha bocciato le finanze di 11 enti locali italiani. In fondo, con tutto il rispetto, la logica deve avere un senso anche a Piacenza, fra salame d’asino, pisarei e fasò: se pochi giorni fa il declassamen­to dell’Italia era un motivo suffi­ciente per spingere il segretario a chiedere le dimissioni di chi gover­na il Paese, ebbene, allora il de­classamento di Comuni, Provin­ce e Regioni sarà certamente un motivo sufficiente per spingerlo a chiedere le dimissioni di chi gover­na quegli enti locali. «Non c’è più tempo da perdere, usciamo dalla palude», aveva detto allora. «Non c’è più tempo,usciamo dalla palu­de », ripeterà sicuramente oggi. L’unica cosa strana,a pensarci be­ne, è che non l’abbia ancora fatto. In effetti: chissà perché non ha ancora parlato.

Avrà perso la vo­ce? Colpa del recente incontro a tu per tu con Di Pietro? O del tête-à-tête con lo Yeti? Non è dato sapere. Ma i sindaci di Milano, Bo­logna e Genova si preparino a ri­spondere al suo duro attacco; i pre­sidenti delle Province di Mantova e Roma pure; e i governatori di Li­guria, Marche, Sicilia, Umbria, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Ro­magna non pensino di passarla li­scia. Bersani è spietato con chi si fa bacchettare dalle agenzie di ra­ting internazionale, non sente ra­gione, non vuole ascoltare spiega­zione. «Chi viene colpito da un giu­dizio negativo di S&P si deve di­mettere », ha sentenziato una setti­mana fa.

E non avrà di certo cam­biato idea. Oh ragassi, il segreta­rio Pd è uno che fa sul serio: non sta mica lì per cambiare gli infissi al Colosseo, eh... Lo sappiamo bene che gli 11 am­­ministratori ( più il sindaco di Tori­no, il cui rating non è stato abbas­sato ma ha avuto un outlook peg­giore) cercheranno di difendersi con le solite frasi: «Non dipende da noi», «Colpa della situazione», «Paghiamo gli errori del governo nazionale», «Ci portiamo dietro il peso del debito creato da altri». Hanno già cominciato a farlo. «Era preventivato»,dice l’assesso­re Tabacci a Milano. «Siamo con­dizionati dai trasferimenti stata­li », aggiunge l'assessore al Bilan­cio della Regione Liguria. Per l’amor del cielo,noi saremmo pu­re propensi a dar loro credito.

Ca­piamo che se un ente pubblico, sia esso Comune, Regione o Stato nazionale, viene declassato, non sempre le colpe sono direttamen­te riconducibili a chi lo sta ammi­nistrando in quel momento. Si possono pagare responsabilità del passato, si può scontare una si­tuazione generale. Noi lo capia­mo e vorremmo essere compren­sivi nei confronti di questa sporca dozzina di declassati. Il fatto è che Bersani la pensa diversamente: chi viene sanzionato dall’agenzia di rating si deve dimettere, sostie­ne. Quando ha scelto la linea ave­va nel mirino Berlusconi. Ma sic­come lui non ama le bucce di bana­na, il palaghiaccio e le conseguen­ti scivolate, non potrà fare a meno di ripetersi. Gli amministratori lo­cali, di conseguenza, non hanno scampo. Oddio, è vero che la coerenza sta alla politica come il pecorino nella marmellata.

Ma, insomma, deve pur esserci un limite. E dun­que noi siamo certi che Bersani non potrà fare diversamente. Do­vrà intervenire con i suoi compa­gni di partito, con i governatori di Liguria e Umbria, con i sindaci di Bologna e Genova, per chiedere loro quello che ha chiesto al pre­mier. Perché sta aspettando? For­se vuole convocare il partito, forse vuole dare più forza alle sue paro­le, magari spera di raccogliere di­rettamente qualche dimissione brevi manu, per esempio dal presi­dente della Provincia di Roma, che essendo pure lui un Pd, non potrà fare a meno di adeguarsi al­la linea severa del segretario.

Ecco sì: probabilmente sta aspettando il colpo a sorpresa. Vuole stupirci. Vuole effetti speciali, Ma poi sia­mo sicuri che parlerà. Siamo sicu­ri che intimerà a tutti e 11, anzi a tutti e 12, di andare a casa. Non ha altra scelta: lo deve fare. Lo farà presto, ne siamo sicuri.

Per lo me­no, appena avrà finito la ceretta al­lo yeti.

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