Roma «Solo un pazzo può avere un desiderio personale di prendere in mano una situazione difficile come quella del paese». È un Pier Luigi Bersani insolitamente sincero, quello che risponde alle domande degli ascoltatori di Radio Anch’io, sulla Rai. Il segretario del Pd sa che, tanto più dopo la famosa «letterina» inviata dal premier a Bruxelles, non si scappa: chiunque riesca a sostituire Berlusconi a Palazzo Chigi dovrà, in un modo o nell’altro, tener fede agli impegni presi con l’Ue. E sa anche che, come ha scritto ieri l’Economist, l’attuale opposizione sarebbe in gravi difficoltà se si ritrovasse a dover prendere le decisioni necessarie per uscire dalla crisi economica. Come notava qualche giorno fa Peppe Fioroni: «Se iniziamo solo a discutere di pensioni nel Pd già ci dividiamo in sei partiti»; figurarsi se dalle parole bisognasse passare ai fatti.
Ecco dunque che Bersani rispolvera l’ipotesi di un governo di larghe intese post-Berlusconi, ipotesi per la quale molti nel suo partito tifano nella speranza che serva a trarre il Pd dalle peste e a spostare il suo asse in direzione più riformista: «Non c’è più tempo per chiacchiere che non vanno da nessuna parte. Siamo pronti a fare la nostra parte in un governo di transizione che sia segnato dalla discontinuità e che abbia una larga base parlamentare». Un governo magari a guida Monti, sul quale dovrebbero ipoteticamente confluire i voti parlamentari di centrodestra e centrosinistra, e che dovrebbe poter fare le scelte impegnative che da sole la destra e a maggior ragione la sinistra, farebbero una gran fatica ad affrontare.
Ma l’apertura di Bersani al governo di transizione è più di maniera che autentica, perché l’ipotesi porta con sé troppe incognite e conseguenze rischiose: se il Pd lo dovesse appoggiare (e sarebbe difficile sottrarsi ad una eventuale sollecitazione in tal senso del Quirinale), finirebbe per tagliare i ponti con Sel e Idv, che ne resterebbero allegramente fuori e potrebbero pascolare nelle praterie dell’opposizione alle scelte impopolari di un governissimo con mandato europeo. Oltretutto, un governo siffatto implicherebbe l’uscita di scena del premier, col risultato che l’Udc potrebbe rientrare nel suo naturale alveo di un centrodestra de-berlusconizzato.
Infine, last but not least, un governo fino al 2013 regalerebbe a Matteo Renzi il tempo che serve al sindaco di Firenze per portare a termine il suo mandato e prepararsi alla discesa in campo sulla scena nazionale. Non a caso Bersani mostra dubbi: «Se non ci sono le condizioni per un governo di transizione, non possiamo aspettare il 2013». Meglio sbrigarsi a votare, l’anno prossimo. A chi gli chiede chi tema di più come sfidante alle primarie (Renzi, Zingaretti, Civati), Bersani risponde orgoglioso che lui non teme proprio nessuno.
E ammonisce le nuove leve: «L’eccesso di protagonismo è il passato, non il futuro». Però alla convention fiorentina di oggi, che tutti interpretano come il trampolino di lancio della candidatura di Renzi, Bersani marcherà visita: «Sarò a Napoli perché abbiamo organizzato questa iniziativa importantissima sui giovani e sul Sud e ci stiamo lavorando da un anno», si giustifica. Renzi non batte ciglio, ma batte un colpo.
E a Radio 24 boccia così la linea politica del segretario: «Bersani chiede le dimissioni di Berlusconi? Su Twitter è il tormentone più cliccato...
Il centrosinistra non può andare al governo solo perché il premier ha fallito e poi permettersi di litigare il giorno dopo. In questo l’Unione è stato un fallimento pazzesco». Le alleanze Pd? «Le mie idee spero siano compatibili con Vendola, ma in una coalizione con Diliberto non ci sto nemmeno a Firenze».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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