da Roma
Nellimmaginario collettivo della sinistra italiana uno dei momenti politici più importanti della carriera di Fausto Bertinotti è stata larringa del G8 di Genova. Dopo la morte di Carlo Giuliani lex sindacalista fu lunico leader a convogliare nel suo partito, Rifondazione comunista, quella cieca protesta dei no-global e farsene portabandiera designandolo come «il primo grande movimento del nuovo secolo».
Bertinotti aveva talmente allargato il suo recinto da potersi permettere di fare spallucce alle invettive della sinistra riformista che ancora nel 2001 gli imputava il crollo del primo governo Prodi e la disfatta elettorale. Oggi, invece, il presidente della Camera, che dallalto del suo scranno è pur sempre il deus ex machina del Prc, si premura di far sapere che «non siamo nel 98» e che lesecutivo è «un ammalato con delle avvisaglie di crisi ma che mostra capacità di durare».
Si tratta di precisazioni niente affatto superflue. Soprattutto se si considera che il protocollo sulle pensioni e sul lavoro rappresenta una sconfitta senza precedenti per i rifondaroli. In tema previdenziale sè dovuto accettare una diluizione dello scalone dal 2010 al 2013, mentre la tanto vituperata legge Biagi alla fine resterà pressoché immutata nonostante il Prc avesse sempre letto il programma dellUnione in senso abrogativo. Come ha ricordato il ministro bertinottiano Paolo Ferrero. Ed è stata una doppia sconfitta, oltreché politica pure sindacale perché il Prc non è riuscito a «condizionare» la Cgil.
E allora laddove mancano i fatti si cerca di mediare con le parole, con le astrazioni. «Mi sentirei di vivere in una democrazia più arricchita se i lavoratori fossero chiamati a pronunciarsi su una proposta di accordo di legge che riguarda la loro vita», ha detto Bertinotti riferendosi ai referendum sindacali. «Non ci sentiamo legati al rispetto di nulla, visto che siamo lontani anni luce dal programma», ha aggiunto il segretario Franco Giordano accennando alla consultazione della base sulla permanenza al governo. Il capogruppo al Senato, Giovanni Russo Spena, ha invece annunciato un emendamento al Dpef (che si vota come una risoluzione, ndr) sul precariato.
Il populismo dei vertici di Rifondazione è il termometro di uno scontro interno che inizia ad essere difficilmente gestibile. La maggioranza bertinottiana (60% circa allultimo congresso) è imputabile non solo degli insuccessi sul welfare, ma anche dellinsabbiamento dei Dico, del mancato ritiro dallAfghanistan e del fallito stop al Dal Molin. Insomma, più che da tampone ai riformisti non si riesce a fare.
E così la corrente di Sinistra Critica già preannuncia il «liberi tutti» con Cannavò e soprattutto con il senatore Turigliatto, anche le altre minoranze interne di Essere Comunisti (il senatore Grassi) e dellErnesto (il senatore Giannini e il deputato Pegolo) stanno lustrando lartiglieria. La partita si gioca tutta sulla «liquidazione del Prc» nella Cosa rossa con Verdi, Sd e Pdci. Solo i dilibertiani hanno tenuto il punto sulle pensioni, mentre gli altri «compagni» si sono un po persi per strada. Ergo: bisogna ridiscutere tutto il progetto che Bertinotti vorrebbe accelerare.
Ma se per Cannavò bisogna «rifondare la sinistra di classe» e pensare a una costituente degli ultraradicali, per gli altri il ragionamento è diverso. Bisognerà rivedere tutto e il segnale di questo fermento è dato tanto dallultimo animato Comitato politico nazionale quanto dai dibattiti che si sono aperti su Liberazione, il quotidiano di partito, tra nomenklatura bertinottiana e nostalgici della Sinistra europea come casa dei movimenti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.