Politica

Bertinotti punta tutto sulle primarie «Rinviarle sarebbe un tradimento»

Il segretario del Prc si appella al popolo: l’Unione può essere guidata da sinistra

Roberto Scafuri

da Roma

Nessuna variazione sul tema, nessuna sorpresa, è il Fausto Bertinotti che ci si aspetta. L’unica novità, se vogliamo, è che la sua candidatura alle primarie, mille volte annunciata, ormai è ai nastri di partenza. Non corsa di bandiera, andatura rilassata, ma fatta per vincere e far sognare quel po’ di sinistra che (referendum e Papa permettendo) c’è ancora e resiste. «Una candidatura che parlerà una lingua di sinistra», annuncia il leader in una pausa dell’esecutivo nazionale di Prc, chiamato appunto a esprimersi sulle primarie ottobrine. «L’impegno del partito ci sarà molto convintamente», dice Fausto e forse anche questa potrebbe essere una notizia.
Assieme all’impegno della folta minoranza di ex cossuttiani (Grassi & C.), ci saranno «interventi a favore di questa candidatura che anche altri dovranno prendere», esorcizza il pericolo Bertinotti. E accenna all’organizzazione di «comitati, gruppi di appoggio» e, insomma, organismi con «caratterizzazione di sinistra», per un «profilo europeista di sinistra popolare». Quella, beninteso, vittoriosa nel referendum francese anti-Trattato. Una candidatura forte, allora, che «cerchi di dimostrare che l’Unione può essere guidata da una persona di sinistra. Come si fa? Con molta passione e speriamo che sia un sentimento diffuso nel Paese...». Le primarie hanno un’importanza cruciale nella politica rifondatrice: «Esiste una rischiosa separazione tra popolo e classi dirigenti in cui le ragioni del popolo sono assolutamente soverchiate». Un rinvio o una soppressione delle primarie sarebbe un «tradimento di una volontà comune», anche perché una partecipazione di massa risolverà dubbi, incertezze e dissensi nell’Unione».
È in quest’ambito che si annida l’annosa polemica tra il segretario di Prc e il rivale del Pdci, Oliviero Diliberto, che si è dichiarato pronto a votare per Bertinotti a patto che si impegni a costruire una lista unitaria. «Io mi candido - risponde Fausto -, se Diliberto mi vota lo fa perché condivide i miei obbiettivi e non perché pensa che così si possa fare una lista assieme... Sul territorio ci sono molte iniziative che aiutano le riflessioni nel mondo della sinistra, ma pensare a una lista unitaria in cui siano presenti solo le sigle di partito è impossibile. E d’altra parte il processo per coinvolgere anche le associazioni che sono nel mondo politico è lungo e difficoltoso da realizzare...». Un modo per chiudere la faccenda, che come si sa Bertinotti non ama.
Il capo di Rifondazione da tempo è convinto che alle Politiche occorra andare separati, e semmai fare conti e fusioni dopo. D’altronde anche la profferta di Diliberto sembra un modo per giustificare una scelta alle primarie per Prodi e non per un candidato «comunista». La logica bertinottiana resta quella dei «cento fiori fioriscano: ognuno faccia quello che crede senza essere inquadrato in una realtà comune». Persino l’esperienza della Fed riformista «non è riuscita e voi pensate che sia facile fare una lista delle sinistre alternative con realtà che sono fuori dal giro della politica...».
È dunque un Bertinotti che si conferma realista e costruttivo, convinto unionista. Che ribadisce ancora quanto sia lontano il ’98 e che «non faremo cadere Prodi perché oggi possiamo cambiare il Paese». Ovvero che le primarie «influiranno sul programma, ma che sulla sua definizione vanno coinvolti anche pezzi della società, perché è la base che deve decidere». E che nel programma «non ci saranno riferimenti all’abolizione della proprietà privata». Un Bertinotti che ritiene fuori tempo massimo la riforma della Gasparri, mentre l’unica cosa sarebbe decidere il presidente Rai («Ogni altra discussione è del demonio»). E che, infine, trova «la politica e il governo in crisi irreversibile, ma Berlusconi è l’unico che può rallentarla, in quanto sostituisce al bilancio delle cose fatte, che sarebbe fallimentare, un terreno di scontro ideologico sul quale Berlusconi ha molte risorse. Se il centrodestra rinuncia a lui, perde ancora di più».

Parola di avversario, acerrimo e leale.

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