Politica

Bertinotti il sopravvissuto

Il formidabile scherzo che Fiorello e Baldini hanno giocato l’altro ieri a Fausto Bertinotti (gli hanno fatto recitare l’inno di Forza Italia facendogli credere che fosse una poesia) ha totalmente oscurato un altro passaggio della comparsata del presidente della Camera a Viva Radio 2. Un passaggio assai meno divertente, e ben più inquietante. Anzi: un passaggio triste, in fondo. Si tratta di un sermone molto serioso, che ha interrotto il clima ridanciano della trasmissione, e che si è concluso con la seguente affermazione di principio: «La politica», ha detto Bertinotti, «è l’unica cosa che permette all’uomo di liberarsi da ogni oppressione». Cito a memoria, ma assicuro che il senso è esattamente quello.
Ora: non c’è dubbio che la politica sia una cosa importante, tanto importante da poter migliorare (o peggiorare) la qualità della vita di milioni di persone. Ma sono quell’unica e quell’ogni che fanno rabbrividire. Soprattutto l’ogni: «La politica libera l’uomo da ogni oppressione», ha detto Bertinotti.
Il quale, per dimostrare la verità della sua tesi, ha citato la propria esperienza di vita: sono nato in una famiglia proletaria della periferia di Milano, ero povero e ignorante, ma grazie alla politica ho potuto realizzarmi, studiare, conoscere. Anche qui non c’è dubbio che nelle parole di Bertinotti ci sia del vero: che cosa, se non la politica, ha permesso all’ex sindacalista di diventare presidente della Camera? Ma, per quanto sia meno ignorante di come lo fosse alla griglia di partenza, per quanto abbia studiato e per quanto bene si sappia esprimere, il compagno presidente mostra uno sconcertante distacco dalla realtà. È sicuro, è proprio sicuro che la politica possa liberare l’uomo da ogni oppressione? È sicuro che sia la politica l’unica portatrice di felicità - o di infelicità - per gli esseri umani? Se sì, se è sicuro di ciò che ha detto, provi anche solo a sfogliare i giornali di oggi, e chieda ai genitori della tredicenne che si è gettata da un balcone se c’è una politica che avrebbe potuto salvare loro figlia, e se ce n’è una che ora li possa consolare. Provi a chiedere ai familiari dei trentatré uccisi in un campus americano per mano di un folle, se troveranno nella politica le risposte e soprattutto la pace che cercano.
Intendiamoci. Conoscendo la cultura da cui proviene, è perfin possibile che Bertinotti cerchi davvero di rispondere che sì, una certa politica di assistenza, magari il potenziamento di qualche Asl, avrebbe salvato la tredicenne; e che se in America non ci fosse Bush, e se il mercato delle armi non fosse libero, certe cose non succederebbero. Fa parte della retorica comunista pretendere che la politica, e quindi lo Stato, tutto possa prevenire e tutto possa risolvere.
Ma Bertinotti è una persona intelligente: per questo osiamo sperare che sappia guardare oltre. Provi, signor presidente, a scavare nella sua memoria e soprattutto nel suo cuore. Provi a pensare se è stato più felice quando a un congresso è passata una sua mozione o quando sua moglie le ha detto il primo «sì»; oppure ancora quando i suoi bambini le correvano incontro gioiosi perché era tornato a casa. E visto che dice di credere che la politica può liberarci da ogni oppressione, provi a pensare quale ideologia, o partito, o governo avrebbe potuto restituire serenità a quel suo amico (le sarà capitato, no?) ch’era stato abbandonato dalla moglie, oppure a quell’altro cui fu diagnosticato un cancro. Ma anche senza arrivare a quei casi dolorosi: signor presidente, il tempo che scorre non le suggerisce nulla? Nessuna domanda che vada un po’ più in là di quanto trova scritto nel Capitale?
A pensarci bene, Bertinotti sbaglia due volte. La prima perché, se considera la «liberazione dall’oppressione» (parole testuali, stavolta) solo in termini di miglioramento di condizioni economiche e sociali, eh be’, allora deve ammettere che il riscatto, il «far carriera» è più facile in un sistema liberale che non in quel comunismo che egli si ostina a ritenere il migliore dei mondi possibili. Il secondo errore, ben più tragico, sta appunto nel ridurre i bisogni dell’uomo a quelli economici, materiali. Lo so, è un vecchio errore del marxismo.

Ma che tristezza pensare che sia sopravvissuto.
Michele Brambilla

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