Provate a immaginare una cantante nera (allora si diceva negra), negli anni Venti, che diventa una star, vende 10 milioni di dischi (evitando la bancarotta a una major come la Columbia) e gira persino un film, partecipa a riviste e commedie musicali. E lo fa cantando il blues «come una che mette a nudo il suo cuore con un colpo di coltello». Bessie Smith, una voce roca e ruvida (che fu accompagnata anche da Louis Armstrong) e brani drammatici come Downhearted Blues e Me and My Gin come modello rappresentativo del «nuovo canto» che non bada allestetica ma allemozione. È unica e per questo la chiamano «limperatrice del blues». È un idolo del pubblico e, come ogni star maledetta che si rispetti, guadagna valanghe di soldi e li spende per il gin e per gli uomini. La sua vita di gloria e di dolore è larchetipo di quella delle star di oggi, anche se il suo stile è lontano mille miglia da quello delle regine del pop.
Poche, pochissime sono le signore che hanno cambiato la storia della musica. A raccogliere leredità della Smith - anche se raramente cantò il blues - fu Billie Holiday, la donna dallirresistibile forza creativa che rimodella la canzone popolare trasformandola in poesia jazz. Anche lei ha una vita tribolata e drammatica - dalla violenza carnale subita da bambina alla dipendenza dalleroina - che si riflette nel suo splendido repertorio. Secondo Arrigo Polillo «la più grande dopo Bessie Smith», unaltra delle inimitabili.
Negli anni Settanta, nel fulgore della hippy generation, spunta una ragazzina bianca che canta «come una che avesse preso un treno al volo e temesse di perdere la presa». È brutta, sgraziata, ma il suo canto coltivato a whiskey, sigarette, eroina e rabbia non ha ancora trovato una erede degna di questo nome(lei morì a 27 anni nel 1970 per overdose). Cosa centrano con Madonna? Certamente nulla musicalmente; ma sicuramente sono il mito, le più grandi «popstar» della loro epoca, e ogni epoca ha quelle che si merita.
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