Sport

Bettini, un mito a scadenza «Stop tra un anno»

Dopo il bis mondiale ha fissato l’ultima corsa: il Lombardia 2008. «Bisogna saper uscire di scena al momento giusto»

Bettini, un mito a scadenza «Stop tra un anno»

nostro inviato

a Stoccarda

La cena di squadra, il brindisi con le bollicine, il mitologico Alfredo Martini che nobilita l’avvenimento recitando il Conte Ugolino. Poi, tutti in discoteca a ballarci sopra fino alle cinque di mattina. Tutti tranne Rebellin, che non è esattamente un John Travolta della notte, e tranne Bertolini, che dopo aver tirato per una giornata intera davanti al gruppo stramazza sul letto per riaversi a primavera. La festa di Casa Italia segna la notte di Stoccarda, dopo aver griffato a modo suo la grande giornata del Mondiale. All’indomani, occhiaie a camera d’aria, tutti verso casa per il resto delle celebrazioni. Paolo Bettini, come dopo i Giochi di Atene, come dopo il Mondiale dell’anno scorso, si ripresenta in piazza nella sua California, la zona del Livornese dove vive, dove alleva bestie e dove conta più del sindaco. Cori, canti, brindisi e un appuntamento già fissato: per non perdere l’abitudine, anche l’anno prossimo tutti qui.
Dodici mesi, dodici mesi ancora: tanto durerà la bella favola. Poi, titoli di coda e giù il sipario. Bettini non ha le idee chiare solo in corsa: le ha anche per il dopocorsa. Molto precise. Nessuna pensione e nessun vitalizio nella pancia del gruppo: non è questo il crepuscolo che immagina. Sogna di andarsene con il sole ancora alto, in favore di luce. Come un astronomo, ha già fatto i conti: questo può succedere solo fra un anno esatto, alla fine della stagione 2008. Obiettivi: i Giochi di Pechino, di nuovo il Mondiale (stavolta in Italia, a Varese), infine la chiusura del Lombardia, l’amata corsa che l’anno scorso ha vinto in lacrime, distrutto dalla malinconia per la morte del fratello. «Sì, mi piacerebbe che l’ultimo giorno fosse di vittoria. Ho visto i più grandi uscire di scena al momento giusto. Pochi ci riescono. Io voglio essere tra quelli che ci riescono».
Inutile girare attorno alle parole: pochi ce la fanno perché il bel gesto costa molto. Andarsene in un certo modo, in un certo momento, significa rinunciare a contratti sontuosi. Bettini lo sa benissimo, anche perché ha già sul tavolo l’offertona della squadra - la belga Quick Step - per prolungare il sodalizio anche al 2009. Molti euro: due milioni. Più l’indotto di sponsorizzazioni, circuiti e ovviamente premi. Un capitale. Eppure, non c’è più margine di trattativa: nonostante la squadra insista e prema, Bettini se ne andrà fra un anno. Un mito a scadenza. A tutti quanti resterà nella memoria l’indomabile fuoriclasse che abbiamo negli occhi adesso. Nessuno dovrà ricordare Bettini come un’adiposa e sonnolenta vecchia gloria che sverna in pantofole nelle squadre e nelle corse minori.
Poi c’è l’orgoglio. L’orgoglio ferito di oggigiorno. I baccanali dei tifosi e i complimenti dei premier non nascondono il ricordo delle settimana tedesca. Bettini ne ha tratto una carica elettrica per dominare la corsa, ma anche una motivazione in più per il suo immediato futuro. Vuole lavare le offese sulla pubblica piazza, attraverso le sentenze dei tribunali. Se vogliamo, è un rivoluzionario: in mezzo a tanta gente che esprime al massimo un piagnucoloso vittimismo, l’iridato giganteggia per dignità. Chi ha gettato sospetti sul suo conto dovrà quanto prima risponderne davanti ai giudici. La querela contro Stoccarda e contro la televisione tedesca è già depositata. «Da ora in poi - spiega - chi parla dovrà almeno risponderne. Poi vediamo chi ha ragione». Le cause legali sono come le corse: si vincono e si perdono.

Ma per vincerle bisogna avere il coraggio di uscire dal gruppo.

Commenti