La Biennale nel segno dell’acqua

Installazioni-simbolo e performance provocatorie

L’immagine, surreale e inquietante, è quella di una Venezia da The day after. L’acqua stagnante della laguna, filtrata e purificata da depuratori prêt-à-porter viene imbottigliata e distribuita alla popolazione, mentre drappelli di un esercito della sopravvivenza vaga per la città armata di borracce e recipienti per dissetare gli homeless. La performance provocatoria, messa in scena dalla coppia di artisti britannico-argentina Lucy e Jorge Orta in occasione dell’ultima Biennale, è la teatralizzazione di uno spettro che aleggia sull’ecosistema, allorché, tra poco più di 20 anni, l’acqua potabile diventerà un bene più prezioso del petrolio, incapace di soddisfare il fabbisogno di otto miliardi di abitanti del pianeta Terra. Il progetto Drink water, presentato nei giorni scorsi alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, è l’ultimo di una serie di lavori che vede dagli anni ’90 il duo Orta tra i massimi esponenti di una pratica artistica contemporanea direttamente impegnata in grandi tematiche sociali ed ecologiche. Quello sull’emergenza acqua fa parte della serie Hortirecycling, un progetto di recupero degli scarti della civiltà consumistica. Il progetto si esprime attraverso azioni di arte pubblica e secondo modalità estetiche proprie del background dei due artisti. La prima, Lucy, proviene dal mondo del design di moda e di architettura. Le sue opere di questi anni sono state da lei stessa ribattezzate «architetture con l'anima», strutture abitative come i «Refuge wear» o le «Body architecture» che assumono forti connotazioni simboliche in merito alle emergenze ambientali e alle urgenze sociali. Jorge proviene invece direttamente dalle avanguardie artistiche della fine del secolo, dalla videoarte alla mail-art, per poi dedicarsi a progetti di arte pubblica e relazionale in cui il coinvolgimento diretto delle popolazioni locali era parte integrante dell’opera.
Il progetto Drink water realizzato a Venezia consta di installazioni simboliche riguardanti il ciclo di raccolta e distribuzione dell’acqua nonché di un sistema di filtraggio delle acque del Canal Grande, imbottigliate dai due artisti e distribuite al pubblico durante la Biennale. In precedenza, il progetto artistico sul problema dell’eccedenza e della distribuzione alimentare è stato sviluppato con quattro azioni che hanno coinvolto altre città europee come Vienna, Innsbruck e Parigi.
Nel 1997 Lucy Orta raccolse la frutta e verdura in eccesso dei mercati parigini trasformandola in marmellate e conserve. In seguito coinvolse gli ambulanti del mercato, primo anello della catena, a cui l’artista ha distribuito delle «unità di raccolta», in modo che, anziché buttare frutta e ortaggi per terra, li conservassero fino alla raccolta di fine giornata.
«È stato un modo - dice l’artista - per mettere in discussione la responsabilità del cittadino: offrendo alle persone i mezzi per agire, si compie un passo avanti verso un cambiamento positivo in cui l’arte diventa un catalizzatore di energie». Il terzo atto è stato The Meal, ovvero un pranzo organizzato al Kunstraum di Innsbruck, in Austria. «Avevo creato un’edizione limitata di piatti in porcellana di Limoges per 490 persone - racconta l’artista - e abbiamo preparato una tavola per 14 invitati, con un menù a base di prodotti organici in eccesso del mercato locale: a sedersi sono stati agricoltori biologici, politici, giornalisti e artisti del posto. Per il pranzo successivo, a 7 degli ospiti originari avevamo chiesto di invitare 7 commensali, arrivando a una tavolata da 49».
Per concludere un pranzo per 3mila persone, con una nuova edizione limitata di piatti in porcellana di Limoges e una tovaglia serigrafata a mano lunga 500 metri, a cui è stata invitata l’intera popolazione di Dieuze, cittadina rurale del Nord della Francia.

«Alcune associazioni locali - ricorda la Orta - si erano lamentate perché avevamo speso troppi soldi per i piatti, invece di usare quelli di carta! Io sono particolarmente sensibile alla necessità di offrire design e qualità originali a tutti ed è chiaro che la sigla Limoges e i commenti sui motivi grafici smaltati sui piatti erano una parte fondamentale dell’intero progetto. Sono diventati un souvenir e il centro d’arte contemporanea locale ha venduto più di 750 piatti quel giorno, il che è incredibile».

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