Rangoon - Sono molte migliaia le vittime del ciclone Nargis che ha devastato il sud-ovest della Birmania, colpendo in particolare le regioni di Rangoon e del delta del fiume Irrawaddy, dove ha lasciato dietro di sè decine di migliaia di senzatetto. Il ministro birmano degli affari esteri Nyan Win, intervenendo alla televisione di stato, ha parlato di "più di diecimila morti" e 92 mila senzatetto, ma l’agenzia Nuova Cina, citando dati ufficiali diffusi dalle autorità locali, ha riferito di oltre 15.000 persone uccise dal ciclone. Certo il bilancio non è definitivo perché sono molte le zone che non sono ancora state raggiunte dai soccorsi.
Si tratta comunque di cifre che delineano un quadro disastroso della situazione, tanto grave da aver indotto i militari che da 45 anni governano il paese col pugno di ferro, mantenendolo isolato dal mondo, ad accettare aiuti internazionali sotto la supervisione dell’Onu. Paul Risley, portavoce del Programma alimentare mondiale (Wfp) a Bangkok, ha infatti annunciato che "il governo birmano ha mostrato la volontà di accettare l’aiuto internazionale attraverso le Agenzie delle Nazioni Unite". Da Ginevra la portavoce dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), Elysabeth Byrs, ha affermato che si stanno mettendo a punto i dettagli per poter intervenire concretamente.
La Commissione Europea ha stanziato due milioni di euro ed anche la Casa Bianca ha annunciato l’invio di aiuti, ma ha sottolineato che prenderà precauzioni per evitare che i fondi possano essere usati in altro modo dalla giunta militare birmana. La macchina dei soccorsi internazionali si è comunque già messa in movimento: la Croce Rossa ha cominciato a distribuire cibo e vestiario nelle zone più colpite, mentre un aereo con viveri e medicinali inviato dalla Thailandia è potuto atterrare nell’aeroporto di Rangoon, riaperto al traffico oggi pomeriggio, e due navi con generi di prima necessità sono salpate da Port Blair, capoluogo dell’arcipelago indiano delle Andamane e Nicobare, che dista 390 miglia dal porto di Rangoon. L’ «hunraken», come - dal nome del dio delle tempeste - i cicloni vengono chiamati nell’Oceano Indiano, si è abbattuto sulla costa sud-occidentale della Birmania sin dalla tarda serata di venerdì, con venti violentissimi che hanno soffiato fino a 240 km orari, spazzando letteralmente via decine di villaggi di pescatori e distruggendo oltre il 70% delle abitazioni di due località situate nel delta dell’Irrawaddy, Laputta e Kyaik Lat.
La maggior parte delle vittime e dei dispersi sarebbe concentrata nell’isola di Haing Gyi, all’estremità occidentale del delta, investita da enormi ondate di marea, ma la furia di Nargis ha provocato ingenti danni anche nelle regioni di Bago, negli stati Karen e Mon, nonchè a Rangoon, la maggiore città ed ex capitale della Birmania, dove le strade appaiono ingombre dei detriti delle abitazioni crollate e degli alberi divelti. Dai rilievi effettuati con l’aiuto dei satelliti, gli esperti calcolano che nel paese, già uno dei più poveri del mondo, i sinistrati ammontino a circa due milioni.
La Croce Rossa giudica che le priorità immediate dell’azione umanitaria siano provvedere acqua pulita e rifugi di emergenza per gli sfollati. Quindi abiti, cibo, articoli per l’igiene e zanzariere contro la malaria. Se hanno accettato gli aiuti umanitari, i militari che governano la Birmania non hanno però cambiato idea sul referendum per la nuova costituzione, osteggiata dalla comunità internazionale e dal Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, che lo giudicano un espediente per perpetuare il predominio dell’esercito nella conduzione degli affari di Stato.
La giunta ha infatti deciso che malgrado la situazione di emergenza causata dal ciclone, la consultazione popolare si terrà come previsto il
prossimo sabato 10 maggio. Lo si legge oggi sulla stampa ufficiale birmana: "Il referendum si terrà tra qualche giorno e la popolazione attende con impazienza l’appuntamento", scrive il quotidiano governativo New Light.
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