Bisogna fare Resistenza al pensiero unico della sinistra

Si ricorda di me? Sono colei che grazie al suo intervento è riuscita a salvare da «ascia selvaggia» il parco Lombroso di Verona. E sono anche una dei due esponenti della cultura di destra eletti nell'assemblea dei soci dell'Istituto veronese per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea, oggetto della sua risposta al lettore Gustavo Desavio. Il pandemonio, come lei lo ha definito, per la mia nomina non è cessato. Anche se fino ad oggi nessuno degli «indignati» ai quali ha dato voce l'Arena di Verona ha saputo spiegare per quale ragione chi non si è reso responsabile di fatti in contrasto con la Resistenza (perché come chi scrive non era ancora nata) dovrebbe «sentire un'incompatibilità morale e di principio» a entrare come rappresentante del Comune «nell'Istituto che studia la Resistenza». Scopo dell'Istituto veronese per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea è, appunto, lo «studio» di quel periodo alla luce della verità storica e nella sua integrità, perché esso include fatti delittuosi di brigate fasciste, ma - com'è noto - anche di brigate partigiane. In ogni caso uno «studio» presuppone pur sempre un confronto sulle interpretazioni perché è evidente che se condotto tra i portatori di un'unica visione delle cose, cessa immediatamente di essere «studio» per ridursi ad un'apologia, cioè ad una celebrazione unilaterale di avvenimenti, preordinata a cancellarne altri dalla storia. Escludere, come si vorrebbe fare, rappresentanti di culture diverse da quelle fino a oggi egemoni nell’Istituto equivale dunque a imporre interpretazioni unilaterali e, inevitabilmente, solo parziali. Questo porta a chiederci in quale ambiente sia davvero rimasto un «fascismo», inteso come dittatura intellettuale. E chi, in effetti, abbia paura della verità storica. Se è vero, com'è vero, che le civiltà si argomentano e si misurano dalle loro Istituzioni, la Resistenza, quale presupposto di una civiltà diversa dal Fascismo, ci deve spiegare come mai dopo sessant'anni di Repubblica grande parte dell'ordinamento giuridico sia tuttora quello fascista (per citare solo i principali: Regio Decreto 26.6.1924 n.1054, testo unico sul Consiglio di Stato, tuttora in vigore; R.D. 16.3.1942 n.262 Codice Civile, tuttora in vigore; R.D. 28.10.1940 n.1443 Codice Procedura Civile, tuttora in vigore; R.D. 19.10.1930 n.1398 Codice Penale, tuttora in vigore). Non sarebbe un argomento da affrontare, in seno a un organismo deputato alla storia della Resistenza e dell'Età contemporanea? Per concludere, caro Granzotto, gli atteggiamenti di ostracismo dei fondatori dell'Istituto devono cessare, abbandonando ogni questione personale per ristabilire la certezza dei rapporti che solo credibili istituzioni, non personalizzate, equilibrate e autorevoli possono proporre ai propri amministrati. Fermo restando che l'intestazione dell'Osservatore Romano (sbandierata dagli stessi fondatori dell'Istituto) riporta la prima forma di giustizia: unicuique suum, riconoscere a ciascuno il suo.
Consigliere Comunale Comune di Verona


Tenga duro, gentile lettrice. Lei è stata eletta a membro dell'Istituto per la Storia della Resistenza (e, perché no, dell'Età Contemporanea) nel pieno rispetto di quelle regole democratiche che le vestali della Resistenza medesima affermano d'aver conquistato e trasfuso nelle istituzioni repubblicane al prezzo di lunga e dura lotta, lassù sulle montagne. Chi storce il naso o addirittura attiva lo sfiatatoio dell'indignazione per la sua nomina, o, come lei sospetta, mostra d'avere indole fascista (la qual cosa non desterebbe stupore.

Già Longanesi mise sull'avviso affermando che esistono due fascismi: quello propriamente detto e l'antifascismo), o svela il suo animo di coniglio. La paura di non sapere o potere misurarsi in quel «confronto» che pure - a parole - sta in cima ai pensieri dei compagni della sinistra. Tenga duro, Cametti. E li stani.

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