Blair ci ripensa: sono pronto a candidarmi per la quarta volta

Dall’Australia il premier britannico parla di «errore piuttosto insolito per me». Saltano gli accordi nel Labour e la staffetta a Downing Street con Gordon Brown

Erica Orsini

da Londra

«Forse è stato un errore dire che non avrei corso per un quarto mandato». E così, con un’ammissione a sorpresa, quell’abile politico che è Tony Blair si riscrive il futuro. In barba a tutti quelli che adesso lo vorrebbero già in pensione e per la quieta disperazione del suo amico-avversario Gordon Brown che forse in questi ultimi giorni stava già pensando al colore delle tende nuove nel salotto di rappresentanza al numero 10 di Downing Street.
Dall’Australia, dove il primo ministro britannico si trova in visita ufficiale, Blair ha infatti fatto sapere che la dichiarazione rilasciata nel 2004 in cui azzerava ogni possibilità di un suo coinvolgimento nelle prossime elezioni generali è stata molto probabilmente un errore strategico. «È una cosa piuttosto insolita da dire per me - ha spiegato Blair ai giornalisti - ma la gente continuava a farmi sempre la stessa domanda, così decisi di rispondere. Forse fu uno sbaglio». A casa sua, in Gran Bretagna, la dichiarazione ha fatto scoppiare un pandemonio, dando adito a una ridda immediata di interpretazioni. Londra ha tentato di correre ai ripari, ma invano. «Il premier è stato interrotto - ha fatto sapere un collaboratore di Blair - e non ha potuto finire la frase. In realtà intendeva dire che era stato un errore pensare che l’annuncio potesse mettere fine alle congetture della gente sul suo futuro».
Più tardi il portavoce ufficiale ha spiegato che Blair stava semplicemente commentando una cosa che altri avevano detto, ma che quello non era affatto il suo pensiero. Ma la scusa non poteva reggere. Riesce invece molto più facile pensare che in un momento nero come quello che il leader laburista sta attraversando, venga fuori quel combattente che tutti ormai conoscono. Blair non è uno che si perde d’animo, lo ha dimostrato in decine di occasioni in questi anni. I sondaggi lo vogliono fuori da Downing Street il prima possibile? E lui si ricandida. O almeno lo fa capire tra le righe, gettando lo scompiglio tra gli avversari e nello stesso partito. L’ultimo scandalo a proposito dei prestiti segreti al Labour in cambio di facili nomine alla Camera dei Lord avevano fatto pensare che il cambio della guardia fosse molto vicino. L’indice di popolarità del premier non è mai stato così basso come in questo periodo. Ma Blair non è tipo che prende e va nel bel mezzo di una crisi. Non l’ha fatto nel marzo del 2003 quando rischiava di perdere il voto del Parlamento sulla guerra in Irak, non l’ha fatto nel giugno del 2004 quando tutta una serie di gravi eventi avevano fatto pensare al peggio. Ha ammesso una sola volta di averci pensato, ma evidentemente non era destino.
«Non me ne andrò finché non avrò portato a termine il lavoro cominciato», ha detto più volte e di certo adesso Blair è a metà dell’opera. Deve ancora trovare una soluzione alla profonda crisi in cui versa il suo Sistema sanitario nazionale e mai come in questo momento ci terrebbe a riprendere in mano la proposta di riforma della Camera dei Lord. Così chi tra i suoi lo vorrebbe fuori dal gioco ha solo due possibilità. La prima, possibile tecnicamente ma da escludere nella realtà, è un voto pubblico di sfiducia nella prossima assemblea annuale del partito. La seconda, ancor più improbabile, un appello congiunto a farsi da parte. Da lui per ora non aspettiamoci neanche un passo indietro, se non per rilanciare.

Molto probabilmente il pacifista cinquantaseienne che ha trascorso quattro anni della sua vita di fronte a Westminster a contestarlo, arrestato nella notte di ieri e rilasciato dopo qualche ora, avrà ancora molti giorni di protesta da dedicargli.

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