Blitz all’alba, così è arrivata la verità

nostro inviato a Parma

La notte di Parma si sveglia di soprassalto col colore dei lampeggianti. E il rumore degli elicotteri che volteggiano in cielo rompendo il silenzio assonnato del venerdì che precede il riposo.
Si cerca la prigione di Tommaso. Ventotto casolari perquisiti, le teste di cuoio dei Gis dei carabinieri, sparpagliate tra i casolari attorno a Brescello. Irruzioni, controlli, le armi in mano. Ma è inutile, Tommy non c'è. Non si trova. A questo punto la decisione. L'ultima carta. Chiudere il cerchio. Una quarantina di sospettati, la metà della gente finita nei giorni scorsi nel mirino degli investigatori, portati in caserma. Siciliani, calabresi, tunisini, addirittura un piemontese, tutti lì, sotto torchio. Si sperava di trovare il bambino ma il blitz «fallito» costringe invece gli investigatori a cercare la verità con i modi duri. Interrogando, mettendo alle strette chi potrebbe sapere. Ventotto persone finiscono nel comando provinciale dei carabinieri di via delle Fonderie, altre sedici negli uffici della Questura. Col fiatone, uno dopo l'altro, arrivano gli avvocati. La tenaglia si stringe. È la stretta finale, oggi o mai più.
Le ore trascorrono, qualcuno degli inquisiti esce dopo parecchie ore nascondendosi alle telecamere, qualcun altro viene portato via sulle macchine di polizia e carabinieri. Una Volante, troppo «eccitata», rischia di travolgere i bimbi che escono da scuola. Non ha la sirena accesa, ma sgomma come giocasse al gran premio. Si fanno vedere anche i vigili. Con i loro funzionari, soprattutto donne, quelle belle e giuste per gli obbiettivi delle telecamere.
Le manette, nel frattempo, si stringono ai polsi di tre persone, il procuratore di Parma Pietro Errede, annuncia e poi disdice per la sera una conferenza stampa. Non si trova il cadavere del piccolo Tommaso, almeno là dove indica Alessi, il muratore che lavorò alla ristrutturazione della villetta di Casalbaroncolo. Poi alle 23 l'ultima notizia. Il corpo del bimbo sarebbe stato scovato sotto il fieno di una cascina tra Parma e Reggio Emilia, vicino a Ponte Enza. Mentre un'intera regione si metta in coda, un fiume di dodici chilometri di auto partite per assistere in diretta all'orrore.
Tornano alla mente i tristi vaticini delle maghe. Quelle che vedevano Tommaso morto nel fiume Magra, qualcun'altra nell'Enza, una in un pozzo. Quando la signora del lago, quella Maria Rosi Busi, la negromante che parla con i defunti, ripeteva fiduciosa: «La sua liberazione è vicina».
Il questore di Parma, Vincenzo Stingone, chiede ai giornalisti di attendere ancora, mentre a mezzanotte esce dalla questura in manette la compagna di Alessi, il muratore siciliano accusato del sequestro. Anche lei avrebbe mentito, secondo gli investigatori. Prima confermando l'alibi fasullo del suo uomo, poi tacendo su una telefonata da lei fatta la sera del rapimento, poco dopo le 19.30. Le prove la incastrano.

Avrebbe chiamato il suo convivente al cellulare, mentre lui si trovava a pochi passi da Casalbaroncolo.
Loro, gli arrestati, adesso, si rimpallano le responsabilità. Accusandosi l'un altro, scaricando sui complici questo delitto senza senso. Agghiacciante. E senza ancora un vero perché.

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