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Blitz israeliano contro marito-padrone in Cisgiordania

Liberati dalla propria casa-prigione da un commando di ex militari israeliani. È la storia di una giovane donna americana - sposata con un arabo, e residente fino a mercoledì scorso in un villaggio della Cisgiordania - e del suo figlioletto di due anni e mezzo. Il carceriere era il marito, un musulmano tradizionalista. Si erano conosciuti alcuni anni fa durante un soggiorno di lui negli Stati Uniti, al termine del quale l'uomo le aveva chiesto di seguirlo in Medio Oriente, nella casa dove già abitava con la prima moglie e diversi figli.
L'idillio è però durato poco e da tre anni sembra che la donna fosse tenuta di fatto segregata tra le mura domestiche, sorvegliata a vista affinché non tentasse di chiedere aiuto nemmeno per telefono, e regolarmente picchiata. Alle violenze fisiche, il marito aggiungeva le minacce: «Se provi a scappare non rivedrai mai più il bambino», pare fosse solito ripeterle.
Preoccupata per la sorte di quella figlia sparita da qualche parte in Medio Oriente, dopo avere chiesto invano aiuto al consolato Usa a Gerusalemme Est, la famiglia della donna ha deciso infine di assoldare un'unità di contractor per ritrovarla. Affidato a veterani dei reparti speciali israeliani, il blitz è avvenuto in pieno giorno, mentre il marito e padre-padrone non era in casa, e ha avuto successo: con il recupero dei due reclusi e la loro consegna al consolato americano.


Poche ore dopo, forniti di un nuovo passaporto (quello vecchio lo aveva distrutto il coniuge) mamma e bimbo sono stati caricati su un volo in partenza dall'aeroporto di Tel Aviv, destinazione New York: fine dell'incubo.

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