da Torino
Per molti ha rappresentato lultima carta da giocare nella disperata battaglia contro lespulsione. Dora in avanti, però, quella carta non potrà più essere utilizzata. Un giudice di pace di Torino ha infatti stabilito che lo straniero, clandestino, potrà essere rispedito nel proprio Paese dorigine anche se omosessuale. Da oggi, quindi, per rimanere in Italia e godere di un permesso di soggiorno straordinario, non basterà più dichiarare di essere gay e appellarsi alla famosa norma che vieta il rimpatrio dello straniero che nel proprio Paese dorigine rischia di essere discriminato per motivi sessuali. Una sentenza controcorrente, quella pronunciata nei giorni scorsi a Torino. La prima, in Italia.
Finora era sempre accaduto il contrario. Tutti gli stranieri clandestini che avevano provato ad opporsi allespulsione dichiarandosi gay, erano infatti riusciti a restare nel nostro Paese. Esiste una norma, allinterno del Testo Unico sullImmigrazione, che tutela i diritti dei cittadini stranieri che andrebbero incontro a gravi persecuzioni, o addirittura alla morte, nel caso di ritorno nei propri Paesi di origine. Quella norma è contenuta nel comma 1 dellarticolo 19 del Testo Unico sullImmigrazione, vieta lespulsione verso Stati in cui esiste il rischio di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali. A questo cavillo giuridico si era appellato anche Ahmad Khnig, marocchino nato a Casablanca 41 anni fa. Era arrivato in Italia nel 2005, da clandestino. E da clandestino aveva vissuto nel nostro Paese per circa due anni. Non gli è mai passato per la mente di richiedere il permesso di soggiorno, ha agito nella clandestinità sperando sempre di farla franca. Fino alla scorsa primavera, quando viene fermato dalla polizia. Dopo quel fermo, la Prefettura di Torino gli notifica un decreto di espulsione. È il 17 maggio di questanno. Ahmad Khnig si oppone allespulsione, racconta di essere omosessuale e spiega di non poter tornare in Marocco per motivi di sicurezza. Il ricorso giunge sul tavolo del giudice di pace Alberto Polotti di Zumaglia, che studia a fondo la vicenda e poi pronuncia una sentenza che dà ragione allo Stato italiano. Scrive infatti il giudice che «Ahmad Khnig è giunto in Italia nel 2005, quando aveva almeno 39 anni, senza dimostrare che per la sua condizione di omosessuale abbia dovuto emigrare ben prima dal suo Paese, nel quale si deve perciò presumere abbia vissuto normalmente per almeno un paio di decenni senza particolari persecuzioni. Ciononostante prosegue il giudice - il marocchino ricorre contro il provvedimento despulsione lamentando la presenza nel proprio Paese di una legislazione che punisce lomosessualità con pene detentive». Per Ahmad non cè nulla da fare, il giudice gli dà torto e conferma lefficacia del decreto di espulsione adottato dal prefetto di Torino.
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