Bob Dylan, il rock da Pulitzer

Troppo facile farlo adesso, comunque significativo, epocale direbbe qualcuno. Finalmente qualcuno s’è deciso ad assegnare a Bob Dylan il Pulitzer alla carriera per «il profondo impatto sulla musica e la cultura popolare d’America, grazie a composizioni liriche dallo straordinario potere poetico». Se qualcuno dovesse scandalizzarsi, può accomodarsi sull’esegesi dei testi delle sue mille canzoni che conservano il loro potere ora messianico, ora onirico, ora prepotentemente descrittivo. Se in alcuni brani cita Dio e la Bibbia, Walt Withman, Cechov, Kerouac, in altri trasforma la realtà in poesia popolare celebrando, per fare un solo esempio, in Hurricane, Rubin Carter, il pugile ingiustamente finito in galera «che avrebbe potuto diventare campione del mondo». Oppure interpretando la paura della gente per la situazione politica quando, seduto davanti alla macchina da scrivere Remington dell’amico hippie Wavy Gravy, con Kennedy e Kruscev che rischiavano la tragedia nel braccio di ferro su Cuba, scrisse A Hard Rain’s A-Gonna Fall, che parla di un mondo distrutto dalla pioggia radioattiva, con alberi che grondano sangue, foreste e oceani morti, bambini circondati dai lupi. Se Blowin’ In the Wind a qualcuno oggi può suonare un po’ banale, sono altre mille canzoni che fanno del suo corpus musicale un classico della nostra epoca. Citare è difficile: si può passare da Like a Rolling Stone all’immaginifica Desolation Row (tradotta poi da De André). È la prima volta che il rock mette i piedi nel mondo del Pulitzer, che solo recentemente s’è avvicinato al jazz premiando John Coltrane e Wynton Marsalis. Dai tempi in cui veniva vivacemente censurato (negli anni ’50 in America vi furono roghi di dischi e persino Frank Sinatra dichiarò che quella era «la musica marziale di tutti i delinquenti della Terra») il rock ne ha fatta di strada, anche grazie a Dylan, chiamato da tutti il poeta di Duluth.

Partito come un semplice clone del mitico Woody Guthrie, invadente corpo estraneo del Greenwich Village - il suo primo concerto importante fu un flop con una cinquantina di persone -, Dylan con la sua aria surreale e la forza delle sue canzoni, ha conquistato tutti, dagli intellettuali della beat generation come Malcolm McClure e Allen Ginsberg ai pacifisti come Martin Luther King. Per dirla tutta - e far arrabbiare chi contesta questo premio - ha conquistato anche tal A.J. Weberman che, da fan sfegatato, frugando e analizzando i bidoni della spazzatura di Bob, ha inventato la «spazzaturologia».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica