La bolla di Dubai è un rischio ma non una crisi

Il grattacielo troppo alto di solito indica una «bolla» finanziaria che prima o poi si paga. Si tratta di una delle tante teorie alternative utilizzate per predire l’andamento dei mercati, nata partendo dalla crisi del ’29 segnata dalla costruzione dei grattacieli di New York. Quanto sta accadendo a Dubai, rischia di confermare questa teoria. In effetti uno dei sintomi di un eccesso di denaro affluito in un particolare luogo o attività è proprio la messa in cantiere di un qualcosa di illogico e, in quanto ad illogicità, Dubai, con i suoi grattacieli alti mille metri in un luogo in cui lo spazio per costruire non mancherebbe e con le sue piste da sci realizzate a viva forza in un deserto da cinquanta gradi non è seconda a nessuno.
Era solo questione di tempo ma prima o poi sarebbe dovuto succedere: gli immensi cantieri e i grattacieli «impossibili» stanno in piedi solo se alimentati da flussi enormi di denaro, flussi che possono essere garantiti solo dalla speculazione e dal miraggio (sempre vano) dell’arricchimento facile. Le difficoltà finanziarie di Dubai però non credo possano essere indice di un rischio sistemico: vanno di certo considerate seriamente perché arrivano in un momento in cui l’economia mondiale è convalescente e quindi vulnerabile, ma riguardano solo un luogo specifico, di certo importante ma troppo delimitato per contagiare troppo lontano dai suoi piccoli confini.
I «subprime» coinvolgevano l’economia americana nel suo complesso, Dubai fa storia a sé: Doha, Abu Dhabi e le altre piazze commerciali orientali non presentano le medesime caratteristiche di leva finanziaria e di esasperazione nei progetti aperti e quindi sono da considerarsi solide. Il prezzo del petrolio inoltre è a livelli tali da assicurare in ogni caso un adeguato cuscino alle capitali dell’economia del golfo, quali che fossero i loro investimenti a Dubai. Qualcuno ci perderà, probabilmente anche da noi: gli abbagli di ricchezza che le bolle finanziarie sembrano promettere attirano sempre l’ingordigia dello speculatore, in molti ci hanno finora guadagnato, qualche rovescio ci può stare.

La cosa che va notata è piuttosto che la difficoltà di Dubai segna forse uno dei primi passi falsi della tanto pubblicizzata finanza islamica, che si rivelerà portatrice degli stessi ineliminabili difetti della cara vecchia finanza del mondo occidentale.
posta@claudioborghi.com

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