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Le bollicine francesi vittime del loro stesso successo: la zona di produzione è protetta dal marchio di origine controllata e quindi non può essere ampliata Il mondo brinda troppo, lo champagne non basta L’allarme degli agricoltori francesi: mettiamo i

Le vendite crescono anche in Europa: più 12%

Alberto Toscano

da Parigi

La vendemmia è cominciata giovedì scorso e sta andando egregiamente nella zona di produzione dello Champagne, situata intorno a Epernay, nella regione Champagne-Ardenne, a est di Parigi. Ancora per due settimane i magici grappoli d’uva cominceranno il loro lungo cammino verso le tavole di tutto il mondo, passando per grandi recipienti, piccole botti, sterminate cantine e un’immensa quantità di bottiglie: ben 360 milioni, di cui 320 milioni verranno allegramente consumate nel corso del 2007, mentre le restanti avranno vita più lunga nel dedalo secolare di corridoi sotterranei di questa parte della Francia, che nell’uva ha il proprio petrolio. «Tutto fa pensare a una vendemmia più che soddisfacente», dicono i responsabili del potente Civc, Comitato interprofessionale dei vini di Champagne, l’organismo attorno a cui ruota l’effervescente attività delle prestigiose bollicine.
Però c’è una punta d’amarezza nel sorriso stampato in volto ai produttori di Champagne. Certo il loro rappresentante Hubert Thiebault afferma tranquillo che - in un periodo di difficoltà commerciali per l’insieme della produzione vinicola francese - lo Champagne è il solo vino nazionale a non conoscere neppure l’ombra d’una crisi. Ma proprio qui sta il punto: lo Champagne rischia d’essere vittima del proprio impressionante successo. I produttori di Champagne sono legatissimi alle tradizioni, su cui vigilano in modo quasi ossessivo. La prima di queste tradizioni sta nella rigorosissima delimitazione della superficie (39.918 ettari) in cui vengono coltivati i vigneti destinati a fornire le uve per i vini a Denominazione d’origine arcicontrollata. In passato qualcuno ha cercato di fare il furbo, ma è stato pizzicato e l’ha pagata cara.
Ecco dunque la contraddizione dello Champagne: da un lato una superficie produttiva rigorosamente limitata e dall’altro una domanda mondiale in continua crescita. «Se invece di 320-360 milioni di bottiglie all’anno, noi ne producessimo il doppio, riusciremmo probabilmente a smaltire ugualmente i nostri stock, ma alla fine la qualità ne risentirebbe e il successo commerciale si trasformerebbe in un boomerang», dice un produttore di dorate bollicine. Nella regione di Bordeaux l’aumento della produzione vinicola si è ritorto contro i famosi «rossi» locali, compresi alcuni di quelli ad alta qualità. Dunque la gente di Epernay e dintorni è perplessa di fronte a ogni ipotesi d’allargamento della zona dei vigneti da cui si ricava lo Champagne. Perplessa e sovente ostile. Transigere sulle tradizioni sarebbe come fragilizzare le basi stesse del mito del più celebre vino di Francia e del mondo.
Qui, però, il discorso si complica. Se 300 e rotti milioni di bottiglie non riescono a soddisfare la sete mondiale, i mercati dei cinque continenti si rivolgeranno sempre più a vini «spumanti» che vengono ormai prodotti i molti Paesi e che - nella loro lavorazione - si ispirano (o dicono di ispirarsi) proprio allo Champagne. Vini tra cui c’è un po’ di tutto: dall’assoluta eccellenza (che non ha nulla da invidiare agli Champagne) a liquidi di scarsa qualità. Ecco il Civc affinare le proprie armi politiche e giuridiche allo scopo di impedire che altri produttori francesi o stranieri utilizzino, sulle loro etichette o nella loro pubblictà, termini che possono ricordare la parola «Champagne». È una sorta di «guerra mondiale» che i francesi combattono contro produttori delle più diverse origini. «Dio ce l’ha dato e guai a chi ce lo tocca!», è lo slogan della gente di Epernay a proposito del nettare locale.
L’aritmetica dello Champagne sciorina i suoi numeri come le note di una marcia trionfale: nel periodo compreso tra il primo gennaio e il 30 giugno di quest’anno l’incremento è stato dell’8,8 per cento rispetto al primo semestre del 2005. Il 60 per cento (180 milioni di bottiglie) del consumo mondiale di Champagne avviene in Francia, dove il mutamento dei gusti gastronomici non ha minimamente danneggiato il re dei «bianchi»: una volta lo Champagne veniva servito alla tavola parigina preferibilmente alla fine del pasto, mentre oggi è diventato anche (e talvolta soprattutto) un aperitivo. Comunque viene servito in abbondanza. Quest’anno l’aumento del consumo in Francia è stimato al 4 per cento, mentre quello nel resto d’Europa è del 12 per cento e quello dell’Estremo oriente tocca il 20 per cento. I nuovi mercati sembrano impazienti di ottenere grandi quantitativi di Champagne e non si fanno assolutamente scoraggiare dal livello elevato dei prezzi. Ormai le feste di fine anno sono alle porte e per lo Champagne sarà un nuovo trionfo a suon di botti.

Sperando di poter mantenere salde e inalterate le regole di una tradizione alla base del successo.

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