Bono, Lennox e Will Smith rock e cinema lo esaltano

nostro inviato a Londra

Ma è solo quando Will Smith sale finalmente sul palco, qui nel bel mezzo di Hyde Park, che l’atmosfera si accende davvero. Benvenuti, è il «46664 Concert», il concerto che festeggia i 90 anni di Nelson Mandela, e per rendergli omaggio si è riunito mezzo mondo del pop, da Leona Lewis a ciò che resta dei Queen, da Joan Baez a Jamelia, da Annie Lennox a Zucchero. Già l’altra sera a pochi passi da qui c’è stata una cena di gala in suo onore e quando lui, all’alba dei novant’anni che compirà il 18 luglio, è entrato in sala l’applauso è durato quasi venti minuti. C’erano tutti, da Forest Whitaker a Bill Clinton, a salutare l’uomo ma anche il simbolo della tutela dei diritti umani che ha saputo togliersi dal ghetto sudafricano e diventare un’icona della lotta al razzismo. D’altronde tutto qui, sotto il cielo plumbeo di una Londra ancora incerta se accettare l’estate o rimanersene nel freddo, ha un profondo significato simbolico. Persino i biglietti venduti sono stati 46664 per ricordare il numero di matricola del prigioniero Nelson Mandela, schiavo per 27 anni in una galera di Robben Island prima di essere liberato e provare a liberare tutti coloro che avevano ancora le manette. E così, lentamente, inesorabilmente Mandela è diventato poi il portabandiera della lotta per i diritti umani, una grande chiesa che ormai sa convertire tutti, da Naomi Campbell fino a Bono, e riesce ad arrivare ovunque sull’onda gigantesca dei mass media. Sarà per questo che a Hyde Park si è radunata docilmente, sia fisicamente, sia in video, una gran quantità di superstar, ciascuna con il suo messaggio, ciascuna con i suoi auguri tutti uguali e tutti sinceramente sentiti. Tanto per dire, prima che Zucchero arrivasse in scena, lui così ben vestito con una giacca di velluto blu elettrica, gli schermi a lato del palco avevano trasmesso i messaggi di Denzel Washington, di Susan Sarandon, di Victoria Adams e pure di suo marito David Beckham.
«Mi invitano perché sanno che io rispondo sempre di sì», aveva detto Zucchero poco prima di salire in scena, seduto dietro i camerini mentre il vento piegava i rami delle querce. Sul palco ha poi cantato la cover di Everybody’s got to learn sometime con l’ottantenne Jivan Gasperyan che suonava il duduk, uno strano strumento a fiato dal suono melodioso, antico. Certo, se poi Quincy Jones introduce Leona Lewis allora è ovvio che il pubblico esploda. Lei, vestita bene come raramente le capita, ha cantato due brani visibilmente emozionata perché, insomma, fino a sei mesi fa era una signorina nessuno e oggi è qui in cima al mondo a fare gli auguri a un simbolo, quello che, come disse una volta Peter Gabriel «se il mondo avesse potuto scegliere un padre, avrebbe scelto lui». E così, quando Peter Gabriel è davvero arrivato sul palco per presentare Emmanuel Jal, si è limitato a dire che «come ha dimostrato, insieme possiamo creare un mondo migliore». Forse è meno ottimista Annie Lennox che, pacata e nobile, ha mostrato le foto di bambini neri malati di Aids prima e dopo le cure, aggiungendo semplicemente e disperatamente: «Tutti loro hanno diritto di vivere e di essere curati». Anche per questo, il ricavato di questo enorme concerto, che la stampa inglese ha accolto senza retorica e senza pettegolezzi e che Mtv Italia ha trasmesso in diretta e in streaming su mtv.it (domani la replica in tv dalle 20), andrà direttamente alla lotta contro l’Aids. E allora quando il pubblico ha iniziato a cantare happy birthday eccolo, Nelson Mandela, commosso come un bambino, appoggiato a un bastone, tutto vestito di nero.

Davanti agli artisti, compresa una stranita Amy Winehouse finalmente riemersa dai suoi tormenti stupefatti e pronta a cantare due brani, il grande vecchio ha semplicemente detto che «il nostro lavoro è ancora lontano dall’essere completato» e «dopo novant’anni è ora di lasciare spazio ai giovani». Boato e una commozione dolce e lunga fino a là in fondo, dove la sera si alzava dietro i rami.

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