La Borsa dice sì all’operazione Il ministro Di Pietro non ancora

Il titolare delle Infrastrutture: «Dettagli poco chiari». L’ad di Autostrade: «A rischio investimenti per 10 miliardi»

Laura Verlicchi

da Milano

La Borsa festeggia il «semaforo verde» di Prodi all’operazione Autostrade (il titolo è salito dell’1,46%, dopo aver sfiorato il 3%) ma l’amministratore delegato no. Più che il tetto del 5%, ormai superato, a preoccupare Giovanni Castellucci è «il sistema delle concessioni che ha funzionato molto bene ed è stato rimesso in discussione dal decreto collegato alla Finanziaria - dice - che cancella tutte le regole e dà un colpo di spugna ai contratti». Dubbi, quelli dell’ad, immediatamente confermati dalle dichiarazioni del ministro Di Pietro che mostrano, ancora una volta, la posizione tutt’altro che unitaria del governo sulla fusione: «Le dichiarazioni rilasciate dal presidente Prodi che emergono dagli organi di stampa sono limitative - sottolinea il ministro delle Infrastrutture -, perché da una parte dicono troppo, nel senso che il governo non ha diritto di intervenire su un atto privato, dall’altra dicono troppo poco» perché manca ancora il via libera decisivo, che non riguarda la fusione, ma il trasferimento della concessione. Una questione, quest’ultima, «ancora aperta e che necessita del via libera dei ministeri delle Infrastrutture e dell’Economia, come sostenuto dal Consiglio di Stato». Un leitmotiv, questo, che Di Pietro ripete fin dall’inizio: ma è chiaro che, senza le concessioni, Autostrade è un guscio vuoto e l’interesse per la fusione crolla.
Intanto, Castellucci fa i conti: se il decreto legge rimarrà così com’è, «le opere a rischio ammontano a 10 miliardi di investimenti», perché «richiedono una stabilità e una credibilità delle regole sottostanti i contratti di concessione che, al momento, non ci sono». Né Autostrade ha intenzione di presentare una nuova richiesta al governo, come vorrebbe Di Pietro, per il trasferimento della concessione al nuovo gruppo italospagnolo: «Il quadro normativo si è modificato diverse volte, noi la domanda l’abbiamo già fatta e riteniamo sia una domanda che ha validità», ha concluso Castellucci.
Secondo il ministro delle Infrastrutture, invece, bisogna ricominciare tutto da capo: la società italiana deve presentare una nuova richiesta di autorizzazione, dopo di che sarà avviata una nuova istruttoria sulla fusione, dato che la procedura precedente si ritiene conclusa. A questo punto infatti il vincolo alla presenza di costruttori è caduto, grazie al decreto collegato alla Finanziaria, e con esso la pregiudiziale di legittimità, ha spiegato Di Pietro in una lettera all’Anas. E quest’ultima, a sua volta, si è affrettata a scrivere ad Autostrade chiedendo di ripresentare la domanda di autorizzazione.
La lettera di Di Pietro è arrivata anche sul tavolo della commissione europea. Il commissario al Mercato interno Charlie McCreevy dovrebbe far sapere entro due settimane se ritiene contrario alle norme comunitarie sulla libera circolazione dei capitali il comportamento del governo italiano sul piano di fusione tra Autostrade e Abertis. «Finché il decreto non sarà abolito definitivamente, per McCreevy la questione non è chiusa», spiega una fonte comunitaria.

L’operazione ha già ricevuto il via libera della commissaria europea per la Concorrenza, Neelie Kroes, che, secondo fonti di Bruxelles, era pronta a inviare a Roma già domani una «valutazione preliminare», prima tappa della procedura speciale riservata alle violazioni dell’articolo 21 dando all’Italia circa 15 giorni per rispondere. Ma l’arrivo della lettera ha fatto guadagnare tempo.

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