La Bp cambia piano contro la marea nera L’America è furiosa

Unti e neri dalla testa ai piedi. Come i ventimila barili di petrolio (3 milioni di litri) che si riversano ogni giorno nel Golfo del Messico. Così, al grido di «Bp your heart is black, you can have your oil back» («Bp il tuo cuore è nero, riprenditi il tuo petrolio») decine di manifestanti hanno riprodotto a colpi di secchiate color petrolio la «marea nera» che sta uccidendo le coste della Lousiana e rischia di travolgere l’amministrazione Obama. Il malcontento verso la compagnia petrolifera britannica e verso la gestione dell’emergenza da parte delle autorità americane cresce negli Stati Uniti come la protesta messa in scena venerdì davanti alla sede della Bp di Manhattan. Protesta che dilaga da New York alla Louisiana.
D’altra parte, a distanza di quaranta giorni dal disastro, la situazione non solo non è per nulla risolta ma precipita di ora in ora: «Il governo americano si sta preparando al peggio», ha fatto sapere ieri Carol Browner, consigliere per l’Energia e i cambiamenti climatici. Poi la notizia peggiore: il greggio potrebbe continuare a uscire fino ad agosto. Il pessimismo è tangibile anche tra i vertici istituzionali. L’operazione «top kill» - ultimo tentativo di fermare la fuoriuscita di petrolio iniettando nel pozzo 35mila barili di liquido e fango - non è riuscita. «È un fallimento che infuria e spezza il cuore», ha ammesso Barack Obama mostrando tutta la sua frustrazione. La società inglese sta già pensando a un nuovo piano di intervento, ma anche questo non sembra privo di incognite. È l’opzione «D», il «Lower Marine Riser Package (Lmrp), una sorta di cappuccio da posizionare sulla supervalvola che non ha funzionato ad aprile e con la quale Bp spera di catturare gran parte del greggio. «Un approccio non privo di rischi, un metodo che non è mai stato sperimentato prima a quella profondità», ha ricordato Obama unendosi allo scetticismo di molti americani sulla riuscita della nuova operazione, che richiederà almeno altri quattro giorni di lavoro.
Il presidente tenta di schierarsi dalla parte degli americani - ammette di essere «arrabbiato» e promette che la sua amministrazione non avrà pace fino a che la perdita «non sarà contenuta, finché le acque della Louisiana non saranno decontaminate e le vittime di questo disastro non saranno ricompensate» - ma alla fine non riesce a togliersi di dosso le accuse di cattiva gestione dell’emergenza. «Mi sembra che il presidente sia più arrabbiato con i suoi critici che con la Bp», punta il dito l’ex stratega di Bill Clinton mentre il New York Times pubblica altri documenti che inchiodano la società e dimostrano come abbia ignorato i rischi, nonostante sapesse che il rivestimento della piattaforma non rispondeva ad alcuni standard di sicurezza. Ma ora è Obama sotto tiro. Contro di lui anche Bobby Jindal, governatore della Louisiana, che denuncia: al presidente «è mancata la percezione dell’urgenza».

«La più grave catastrofe ecologica della storia americana», più grave persino del naufragio della Exxon Valdez in Alaska nell’89, rischia di sporcare in maniera indelebile l’immagine che finora Obama ha cercato di costruire attorno al nuovo modello di Casa Bianca. E distrugge il mito della tecnologia che per anni gli americani hanno cullato, convinti che fosse la panacea di tutti i mali.

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