Brani migliori del solito, ma interpreti troppo tesi

Tutti a guardare i comici e le canzoni non sono state il centro dello show. Lo spartito quest’anno è cambiato davvero

Brani migliori del solito, ma interpreti troppo tesi

Ma com’è schiacciata. Prima Luca e Paolo. Poi il monumentale Celentano. In mezzo la musica del Festival di Sanremo, sapete quella roba che dovrebbe essere il centro dello show: e per giunta la gara è stata pure annullata. Dolcenera in cerca di un centro di gravità permanente. Samuele Bersani in smoking ma con le scarpe da calcio (però è rimasto in panchina). Noemi, introdotta a sorpresa da You really got me dei Kinks, lenta all’inizio ma poi esplosiva. E Renga persino troppo disinvolto visto che ha una canzone perfetta per struttura armonica e melodia. D’accordo che ieri sera il Noleggiato (grande battuta, Luca e Paolo l’hanno proprio azzeccata) ha fatto quel che voleva. Però le canzoni, quelle sì, hanno fatto la loro parte meglio del solito. Non le interpretazioni, talvolta rigate dall’emozione come nel caso di Chiara Civello che sembrava a metà strada tra lo Studio Uno di Mina e il repertorio della Motown. Ma proprio i brani, più radiofonici che sanremesi, più adatti alla playlist che alla fulminea e impietosa classifica dell’Ariston (e un problema tecnico ha annullato la giuria demoscopica). Ad esempio Irene Fornaciari (con testo di Van De Sfroos) ha fatto il passo giusto. Dopo di lei, il vuoto. Nel senso che è arrivato Celentano, lo spettacolo nello spettacolo, il festival nel festival, il Molleggiato più molleggiato di sempre. Un buco nero (visto che il balletto iniziale della serata richiamava le atmosfere extraterrestri di Odissea nello spazio) che è andato avanti per quasi cinquanta minuti di adorazione assoluta a Sua Adrianità. Poi sono planati i Marlene Kuntz e non hanno spostato di una virgola la sensazione che Canzone per un figlio sia un bell’esercizio cui manca l’incisività. A seguire il secondo round di cantanti, da Emma che con quella voce si è messa l’Ariston sottobraccio fino ai Matia Bazar, gli ultimi della serata se non altro perché è il loro ennesimo Festival ma il primo (da un bel po’) con una canzone degna di nota.

E quindi, giusto il tempo di vedere Lucio Dalla dirigere Pierdavide Carone o la coppia D’Alessio Berté e infine Arisa senza gli occhialoni, e si è spenta la musica. Con qualche certezza: lo spartito è cambiato, forse persino in meglio.

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