Nella sua anima gitana non esistono confini all’arte né steccati stilistici. Tutto e il contrario di tutto. Come la sua vita da zingaro felice, nonostante della Sarajevo che amava, dove è nato nel 1952, non resti più nulla. Ma Goran Bregovic è tosto, e ha trasformato il dolore in musica, una vita senza futuro in una carriera da rockstar tra musica, cinema e teatro. È un vulcano di idee che ama i contrasti; si prepara a tornare al cinema (con Kusturica) e all’opera; prepara un nuovo disco e il 29 ottobre parte dagli Arcimboldi di Milano col nuovo tour europeo con la sua Wedding & Funeral Band (Matrimoni e funerali band) in versione allargata.
«Ci sarà la mia band di fiati, cantanti bulgari, un percussionista, altri sette cantanti e un quartetto d’archi», racconta Bregovic.
Matrimoni e funerali: perché questo nome alla band?
«Nel mio Paese matrimoni e funerali sono le due facce della stessa medaglia, simboleggiano la vita. Non è come da voi. Ai funerali si suona la musica che le persone scomparse avrebbero ascoltato in vita. Ai matrimoni si suonano canzoni beneaugurali e d’amore. Io unisco tutto questo».
Quanto conta per lei la tradizione del suo popolo e quanto il rock?
«Il mio cuore è col folk della mia terra. A 15 anni ero un musicista professionista e il mio rock ha avuto successo perché è nato dalla musica gitana. Da ragazzo pensavo che vestire le mie canzoni con il rock avrebbe scosso i giovani in un Paese comunista. Però poi sono tornato nei miei panni di artista popolare: meno rock e più radici».
Quanto conta l’improvvisazione nei suoi concerti?
«Fondamentale. Non si naviga mai due volte nelle stesse acque, e non si può suonare due volte la stessa canzone in modo identico».
Lei è nato artisticamente negli strip bar di Dubrovnik.
«Sotto il regime comunista gli strip bar non erano solo posti dove vedere le donne nude ma luoghi di culto dove si pensava di fuggire dalla realtà. A 17 anni avevo visto più donne nude io di tutti i ragazzi yugoslavi messi insieme, e per farle spogliare inventavo ogni giorno suoni diversi: così mi sono formato».
Come è cambiato dai suoi esordi?
«Continuo ad evolvermi. Credo nel proverbio: quando una puttana si sposa diventa la migliore delle mogli».
Quanto contano i suoi drammi nelle sue canzoni?
«Vengo da una frontiera, la frontiera tra Cattolici, Cristiani ortodossi e Musulmani che i politici hanno mosso gli uni contro gli altri provocando orrori indicibili. Ora ho elaborato tutto questo. Siamo parte dell’Europa e speriamo nell’Europa».
Si considera un ribelle?
«Sotto il regime comunista l’arte e la cultura sono l’arma di resistenza di un artista. Quando crolla il regime molti artisti sono demotivati e spariscono. La cultura nasce dalla politica, la sottocultura dalla vita quotidiana, e io cerco di stare in equilibrio tra questi mondi».
La definiscono lo «zingaro felice», le piace la definizione?
«Si, perché nonostante tutto sono ottimista, e poi in tutti c’è un po’ di spirito zingaresco. È una filosofia che aiuta la vita».
Quando è stato il suo primo successo? Quando si è sentito famoso?
«Con la band Bjelo Dugme a Sarajevo guadagnavo 100 euro a sera; così ci invitarono a suonare al Palasport di Belgrado. Erano concerti organizzati da mafiosi locali ma accettammo lo stesso e ci accolse un pubblico enorme. I mafiosi fecero un sacco di soldi ma da lì partì la mia carriera».
Con chi le piacerebbe suonare?
«Ho suonato con Iggy Pop, Cesaria Evora, Ophra Asa. Amo confrontarmi con artisti che siano archetipi, che abbiano segnato la storia con originalità».
Tra gli italiani?
«La mia preferita è Carmen Consoli, una vera «gitana»; per lei ho scritto una canzone per il film Giorni di abbandono ed è una delle protagoniste della mia opera Karmen con Happy End».
Progetti?
«In arrivo la seconda parte dell’album Alkohol.
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