Torino - Mercedes Bresso (nella foto) non parla. Il governatore uscente del Piemonte, in corsa per tenersi stretta la sua poltrona, preferisce non replicare all’uscita dei vescovi sul «voto utile» a sostegno di chi tutela la vita e la famiglia. Riservatezza? Forse opportunismo politico, soprattutto nel delicatissimo rush finale. La presidente Pd sa che il governo del Piemonte si decide voto su voto con il suo sfidante leghista, Roberto Cota, e sa che qualsiasi cosa dirà potrebbe andare di traverso agli strani alleati «cattolicissimi» dell’Udc che hanno deciso di sostenerla alle Regionali del 28 e 29 marzo nonostante le sue conclamate posizioni su aborto, coppie gay ed eutanasia. E dunque silenzio. Anche se certe dichiarazioni fatte in passato, e soprattutto certe scelte di governo anche attuali, non mentono.
Perché la Bresso, già capolista dei radicali alla Camera nel 1976, scese in campo in prima persona quando nel 2005 iniziò la sperimentazione della pillola abortiva Ru486 all’ospedale Sant’Anna di Torino. «In Italia l’aborto è legale secondo certe regole, e noi del centrosinistra rispettiamo la legge», disse come ama sempre dire. Salvo poi contraddirsi quando l’allora ministro della Sanità Francesco Storace diede lo stop e mandò gli ispettori. «Mah, le loro obiezioni non mi sembrano fondate. L’ordinanza del ministro? Quando arriva la valuteremo. Noi non siamo suoi sottoposti». Recentemente si è beccata della «laicista» dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi («si è spesa più di qualunque altro governatore a favore dell’aborto farmacologico e dell’eutanasia per Eluana Englaro»). Già, la Englaro.
Sul suo corpicino si consumò una furiosa battaglia politica. La zarina radicale prestata al Pd offrì le strutture sanitarie del Piemonte per interrompere l’alimentazione e l’idratazione della ragazza in coma, dando dell’«ayatollah» all’arcivescovo di Torino Severino Poletto, «reo» di aver invocato l’obiezione di coscienza dei medici cattolici.
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