Brook e i «frammenti» di Beckett

Brook e i «frammenti» di Beckett

Peter Brook, grande regista inglese da anni di casa a Parigi, ha sempre amato profondamente le opere di Samuel Beckett. Basti ricordare lo straordinario allestimento di Giorni felici passato per il teatro Vascello anni fa e con Natasha Parry nei panni di Winnie, o il riallestimento successivo del medesimo testo interpretato da Miriam Goldschmidt. Non sembra però un caso che l’anno scorso, per celebrare il centenario della nascita dell’autore irlandese, Brook abbia attinto a cinque titoli brevi assai poco frequentati sulle nostre scene (Come and go, Rough for Theatre I, Rockaby, Act Without Words II, Neither) e ne abbia tratto un unicum di estremo nitore, Fragments, dove la semplicità dell’impianto scenico sposa la geniale afasia di una lingua ridotta all’impossibilità stessa di dire. E non sembra un caso proprio perché qui la ricerca di purezza, l'attenzione al dettaglio, la voglia di ridurre il teatro al suo grado zero (e dunque alla sua vetta eccelsa) che hanno sempre caratterizzato il lavoro del maestro anglo-francese trovano riscontro in una testualità essa stessa ridotta, implosa, intermittente, non agita, persino silenziosa.
Lo spettacolo, nato in francese e poi «riscritto» in versione inglese, fa il suo debutto nazionale questa sera al Valle e non possiamo che parlarne come di un evento da non perdere. In scena recitano tre attori della compagnia Théâtre de Complicité: l’italiano Marcello Magni (che da giovedì a sabato terrà, sempre al Valle, un seminario su «Il teatro del corpo» aperto a 24 giovani allievi), il belga Jos Houben e l’americana di origine greca Kathryn Hunter. A loro, ai loro corpi in tensione, alle loro oscillazioni mimiche ed emotive, Brook affida storie di barboni che ripetono in modo ossessivo sempre gli stessi gesti; storie di vecchiette che rievocano immobili il loro passato; storie di sacchi da cui escono uomini striscianti; storie di sedie a dondolo e di donne invecchiate «prematuramente». Con un eccesso di ottimismo potremmo chiamarle «pantomime», affondi grotteschi nell’umanità: conditi sì di ironia e sarcasmo ma non certo privi di risvolti assolutamente tragici. «Beckett - spiega il regista - è un autore che tuffa lo sguardo nell’insondabile abisso dell’esistenza umana.

S’inserisce sulla sottile linea che lega il teatro greco antico, attraverso Shakespeare, al nostro tempo, celebrando senza compromessi la verità, una verità sconosciuta, terribile, sconvolgente».
Spettacolo in inglese con sopratitoli in italiano. Repliche fino a domenica. Informazioni: 06/68803794.

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