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La bufera non è finita: ora la palla passa all’Ue

I singoli Paesi devono trovare presto una soluzione per la debolezza della moneta unica o il crollo di azioni e bond è destinato a ricominciare

La bufera non è finita: 
ora la palla passa all’Ue

Quale futuro ci attende dopo il travagliato parto della manovra finanziaria? Una cosa almeno è certa, l’Europa non sarà più come prima. È solo questione di tempo (e speriamo che i sacrifici imposti almeno servano a comprarcene a sufficienza), ma la struttura profonda del vecchio continente deve cambiare ed è il caso di essere pronti, senza ripetere lo spettacolo di improvvisazione che l’estate ci ha regalato.
I mercati seguono le emozioni e può anche darsi che, sulla scia della decisione della Corte suprema tedesca che ieri ha giudicato legittime le operazioni di salvataggio degli stati in difficoltà, le cose si tranquillizzino per un po’. Tuttavia i limiti e gli errori di architettura dell’Unione ora sono chiari a tutti, anche a chi fino a ieri si rifiutava ostinatamente di riconoscerli. Dopo che hai visto con chiarezza che i pilastri della tua casa sono fatti di burro, ogni secondo di bel tempo deve essere sfruttato per porvi rimedio: sotto il temporale non si lavora bene e il cemento non tiene. Nel nostro caso il problema del debito dei Paesi «deboli» europei è semplicissimo e non è il deficit (il nostro era migliore della media) né il rapporto debito/pil (la Spagna lo aveva basso) né la crescita (l’austerità è recessiva): il fatto è che manca il compratore di ultima istanza, vale a dire la Banca Centrale. Non per niente pare che nel “giro di promozione” fatto dall’Italia in oriente quest’estate per convincere i cinesi ad acquistare i nostri titoli di Stato, la risposta sia stata un crudo: «Ma se questi titoli non li compra la vostra Banca centrale, perché dovremmo farlo noi?». Più chiaro di così. Quindi ci siamo comprati un bel giro di acquisti da parte della Bce al «modico» costo delle tasse in manovra. Si può andare avanti così?
Certo che no. Non si scherza con gli impegni scritti su un’obbligazione; chi mai affiderebbe i propri denari sapendo che la restituzione è subordinata a tira e molla estivi fra uno stato e la Bce? E poi chi ci dice che le imposizioni della Banca centrale vadano sempre nella direzione corretta? Del resto Trichet non può certo vantare un curriculum da genio della finanza: i due punti più acuti della crisi negli ultimi anni sono stati proprio preceduti (e forse anche causati) da sue decisioni sballate sul rialzo dei tassi di interesse. Siamo proprio tranquilli a prendere la medicina che ci allunga Balanzone? Quindi occorre che i governanti Europei si mettano attorno ad un tavolo, e non si alzino fino a quando non si sia trovata una decisione stabile e definitiva, anche se dovesse comportare lo scioglimento dell’euro, ma che venga capita dai mercati e che sia la più lineare possibile, senza strani fondini di salvataggio pagati anche da quelli che devono essere salvati e negoziazioni caso per caso.
Se a questo tavolo, l’aver messo insieme una manovra mostruosa per dimensioni e durezza, riesce a farci stare a testa alta sarà un bene, ma la soluzione condivisa va trovata. In caso contrario il copione dei crolli in Borsa e delle impennate dei rendimenti si ripeterà alla prima occasione di panico, che potrebbe venire da qualsiasi parte, vedi ad esempio i soliti downgrade del rating, sempre in agguato. Al momento i problemi sono ancora tutti lì sul tavolo, come se fossero radioattivi. I differenziali di finanziamento fra gli stati sono ancora intollerabili, le banche hanno paura di leggere i propri bilanci valutando i titoli a prezzi di mercato, la Svizzera deve ricorrere ad «armi non convenzionali» quali il fissaggio del cambio per arginare la marea di richieste di franchi da parte dei risparmiatori intimoriti, la diffusione delle assicurazioni derivate sul debito porta i timori ad autorealizzarsi appena si diffondono. Insomma, un quadro che definire ballerino è dire poco.

Alla prossima scossa una pezza non basterà.
Twitter: @borghi_claudio

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