Roma La litania degli improperi si apre con un «bugiardo!» di Paolo Bonaiuti seguito a ruota da un «bugiardo come sa tutta Europa!» rincarato da Franco Frattini. E si snocciola via via tra un «patetico» di Licia Ronzulli, un «poveraccio che non ha capito niente» autore Gianfranco Rotondi, un «ridicolo» della Boniver e un «senza ritegno» di Gasparri.
Feroci quelli del Pdl nel replicare all’intervista su Repubblica (e chi sennò?) con la quale Martin Schulz, eurocapogruppo socialista, cerca di levarsi di dosso l’accusa di aver killerato Massimo D’Alema a caccia della feluca di Mr. Pesc. «È l’Italia che lo ha mollato» manda a dire a Roma, rivelando che sarebbe stato Silvio Berlusconi a non volerlo, tanto che nella cena di gala per la commemorazione della caduta del Muro, a Berlino, avrebbe fatto presente ad alcuni premier conservatori di far cadere la candidatura di Baffino per non metterlo in condizione di doverlo eleggere nell’incarico.
Il j’accuse di Schulz è respinto però con forza al mittente. E non solo dal Pdl, come vedremo, bensì anche da parte di parlamentari del Pd. Ma soprattutto solleva due-tre interrogativi grossi come una casa che Repubblica si guarda bene dal far emergere. Il primo è costituito dal riferimento che Schulz fa ai «premier conservatori» coinvolti da Berlusconi. Di chi si tratta? «Non posso dirlo» si limita a replicare, e il quotidiano scalfariano s’accontenta. Seconda questione: se è vero il resoconto di Schulz, come mai non disse nulla tra il 9 novembre (giorno della cena berlinese) e il 19 (scelta dalla Ashton e bruciatura di D’Alema) nei confronti del governo italiano che sosteneva l’ex-segretario del Pds per l’incarico, e anzi ripetè che era il candidato «all’unanimità» dei socialisti?
E poi c’è un terzo interrogativo che di fatto fa crollare la tesi che ieri Schulz ha provato a fornire: il suo capo ufficio stampa è un giornalista italiano che era il corrispondente de l’Unità a Bruxelles e che giovedì scorso era presente nel palazzo del Consiglio in attesa di sapere se D’Alema ce l’avrebbe fatta o meno. Se davvero Schulz era convinto che la sua candidatura fosse da tempo bruciata per volere di Berlusconi, possibile non l’avesse comunicato a chi tiene i suoi rapporti con la stampa?
Del resto, a non credere alle parole dell’eurocapogruppo socialista oggi sono anche tanti nel Pd. «È chiaro che sono stati i socialisti a non volerlo» ammette Farinone, vicepresidente della commissione rapporti con la Ue. Emma Bonino non ci va più leggera: «Inutile che Schulz neghi che D’Alema sia stato affossato dai socialisti... Il sistema spartitorio è ben conosciuto nel Parlamento Europeo» rileva.
E proprio ragionando di spartizioni c’è un di più che comincia ad emergere. Com’è noto, a seguito del rinnovo dell’Europarlamento, Ppe e Pse hanno deciso di rinnovare l’intesa di guidare l’Aula ognuno per la metà dei 5 anni di legislatura. Ora tocca al popolare polacco Jerzy Buzek, alla fine del 2011 sarebbe toccato proprio a Schulz. Ma il suo ruolo passivo nell’indicazione di Mr. Pesc e il «tradimento» di D’Alema avrebbero fatto precipitare le sue quotazioni. Tanto da convincerlo a scendere in campo per precisare che il «no» non era affatto suo, ma di Berlusconi. Solo che l’uscita si sta trasformando in un boomerang.
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