Avvertimenti. Minacce. Risposte seccate. Ripicche. Promesse date e poi non mantenute. È il valzer diplomatico e politico che si balla tra il Cremlino e la Casa Bianca, passando per Tbilisi e che assume sempre di più i connotati di un pericoloso «bisticcio». Ora sono gli Usa a fare la voce grossa. Ma Mosca ha il coltello dalla parte del manico.
Dopo la fase più intensa dello scontro, la benzina che alimenta l’incendio è rappresentata da due punti della road map negoziata dall’Unione europea: l’emendamento georgiano del sesto punto sul dibattito intorno allo status delle regioni separatiste in territorio georgiano e la possibilità per i peacekeeper russi di prendere «misure di sicurezza aggiuntive» finché non arriverà il contingente internazionale di pace (quinto punto).
Per George W. Bush il messaggio è chiaro: Ossezia del Sud e Abkhazia sono «parte integrante» della Georgia e «non ci sono margini di discussione su questo argomento». Bush ha parlato ieri dopo un briefing con il segretario di Stato Condoleezza Rice, rientrata dopo la missione in Francia e a Tbilisi. La comunità internazionale «ha chiarito che è così, e così deve rimanere», ha detto Bush osservando che gli Stati Uniti riconoscono le frontiere della Georgia, Paese membro dell’Onu, e che «i suoi confini hanno diritto allo stesso rispetto di qualsiasi altra nazione».
Bush ha ricevuto la Rice nel ranch di Crawford, dove si trova da venerdì. Il presidente ha parlato dello scontro nel Caucaso nel discorso del sabato alla radio: «Negli ultimi anni la Russia ha cercato di integrarsi nelle strutture diplomatiche, politiche, economiche e di sicurezza dell’Occidente e gli Stati Uniti hanno appoggiato questi sforzi. Ora la Russia ha messo le sue aspirazioni a rischio intraprendendo azioni che fanno a pugni con i principi di queste istituzioni». Rice ha detto che la prossima settimana sarà alla riunione della Nato a Bruxelles: «Credo che la Russia ascolterà ciò che diremo, perché riguarda la sua posizione all’interno della comunità internazionale». Washington, comunque, ha bisogno di credere ancora alla trattativa diplomatica. E allora, dopo le parole forti, c’è posto anche per «un passo verso la speranza». È lo stesso Bush a definire così l’attesa firma ieri della road map in sei punti da parte anche del suo omologo Dmitri Medvedev. Il giorno prima la lady di ferro di Washington era riuscita nell’impresa con l’alleato georgiano Mikhail Saakashvili.
Ora la comunità internazionale si aspetta che Mosca rispetti i patti e avvii il ritiro del suo contingente. Il presidente russo si è visto incalzare non solo da Bush e da Rice, ma anche dal cancelliere tedesco Angela Merkel, che ha accusato Mosca di «uso sproporzionato della forza». Una pressione significativa, arrivata dal principale partner economico della Russia. Anche Londra tiene alto il tono contro Mosca. E pure Kiev ci mette del suo: impone restrizioni alla flotta russa sul mar Nero e dà «rifugio politico» alla famiglia del presidente georgiano Saakashvili.
La pace rimane ancora sulla carta. La Russia rilancia puntando tutto sulle cosiddette forze di interposizione. Il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, rinvia il ritiro dell’esercito - «non sarà per niente immediato» - e avverte di un aumento nel numero di peacekeeper in Ossezia del Sud.
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