Bychkov guida una «Elektra» bella e selvaggia

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Piera Anna Franini

È barbarica più che mai Elektra vista sabato agli Arcimboldi, tragedia in un atto di Hugo von Hofmannsthal e musica di Richard Strauss, allestita fino al 30 maggio. Dirige Semyon Bychkov che, tracciando un lungo arco teso, senza posa, comprime spazi e tempi. Anche là dove il canto si allarga e ammorbidisce, si insinuano ombre sinistre. Le mollezze che segnano l’incontro di Elektra con Oreste per esempio, sono screziate di una luce malevola, l’atmosfera si fa allucinata. Quando Elektra è lì, sola, ridotta a bestia miserabile, l’orchestra spilla angoscia. Orchestra che si trascina faticosamente, come affaticata dal fardello della memoria, quando assieme a Elektra racconta allo straniero, che poi si rivelerà essere Oreste, la perdita del fratello. Veste i panni di Elektra la giunonica Deborah Polaski, bel temperamento ma la voce non è miracolosa. Considerazioni al rovescio per la Crisotemide di Anne Schwanewilms, voce bella ma piccolissima, spesso coperta dall’orchestra. Gelida e autoritaria la Clitennestra di Felicity Palmer, forse il personaggio meglio tratteggiato. Bello l’Oreste di Alfred Walzer che veste Armani. I protagonisti, invece, indossano vestiti senza tempo, avvolta nelle piume Clitennestra e la bella Crisotemide, simbolo della femminilità, Elektra veste tessuti poveri. Abiti di lavoro, di tela cerata, per serve e stallieri.

Costumi realizzati da Giovanna Buzzi, visti nell’edizione 1994 così come non sono nuove le scene di Gae Aulenti e la regia di Ronconi che tingono la scena di un nero catrame, a contrasto con le piastrelle insanguinate della macelleria dove incombono quarti di carne. Pubblico soddisfatto, ma tante poltrone vuote.

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