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C’è un vulcano sotto il Vesuvio

Da Donadoni a Marino, tutti i ciak di De Laurentiis, presidente cinematografico Il capolavoro con Lavezzi: lo convinse a non andare in Inghilterra perché non c’è il bidet

C’è un vulcano sotto il Vesuvio

di Tony Damascelli

Non si tratta di un film. Eppure Aurelio De Laurentiis pensa di muoversi sul set cinematografico, di essere lui medesimo l’interprete della storia, si incazza, urla, abbassa la voce, accarezza, riarma il revolver, vuole giustizia, cerca il colpo di scena, prepara il finale con le lacrime, gli applausi e vissero tutti felici e contenti. Ma alla voce calcio, e per di più Napoli, le cose non stanno proprio così, non c’è il ciak, non ci sono comparse e copioni, si va a braccio e gli altoparlanti, che sono le televisioni, le radio, i siti internet, i telefonini, rilanciano le eruzioni del vulcano di Torre Annunziata. E sono dolori.
Aurelio De Laurentiis dice che i napoletani sono un popolo a parte. Tiene ragione, come si dice al paese suo, al punto che pure lui è un personaggio a parte dei napoletani, non soltanto perché viene dalla città della pasta bianca e dei marinai, Torre Annunziata per l’appunto, dunque uomo che ama l’avventura, la sfida, l’azzardo. Ha scelto la parte dell’antipatico, recita benissimo il ruolo che non appartiene alla storia della gente partenopea, se ne frega dei critici, quelli cinematografici, quelli calcistici.
Rispetto a certi colleghi suoi storici, dallo zio Dino, a Carlo Ponti, a Cristaldi, non si accompagna ad attrici lussuose come la Mangano, la Loren o la Cardinale, passioni e consorti dei tre succitati, ma vive da fedele marito al fianco della svizzera Jacqueline Baudit e tiene nel cuore i tre figli, Luigi, Valentina ed Edoardo, uno dei quali, Luigi, sta ripetendo l’esperienza paterna, essendo in amore con la bionda di Sorengo, Michelle Hunziker. Il quadro è da presepe napoletano ma non c’azzecca con il carattere e i comportamenti dell’attore principale, uno che si piace molto, uno che quando parla ad alta voce non ha ancora capito che non servono le microspie per essere intercettato, basta un microfono, basta una telecamera e, occupandosi lui di football, basta una partita, una vigilia qualunque e lo stagno diventa vulcano, Posillipo si fa Vesuvio, il babà è un fungo velenoso. Così, in un giro di poche parole, dette come da repertorio, come davanti al biliardo di casa, o nella suite di un albergo veneziano durante il festival, Aurelio De Laurentiis ha invitato ad un «ciak si giri», in diretta satellitare e digitale, Donadoni e Marino, che sarebbero l’allenatore e il direttore generale del calcio Napoli, non proprio due belle statuine del mercato di Forcella, ma professionisti a regime, roba da qualche milione di euro, argomento questo che provoca fumi nel cervello del produttore cinematografico: «Chi chiede aumenti e già guadagna milioni ha comportamenti volgari e cafoni». Il riferimento venne confezionato, qualche mese fa, per Lavezzi, un argentino di nome Ezequiel, come il lupo o il tenente Sheridan, tenace in campo ma pure fuori, forse troppo.
De Laurentiis era arrivato a illustrare le frequentazioni e i vizi, non proprio di grande censo, del suo dipendente, lo aveva ammonito a non cedere alle offerte del Manchester United puntando, non sull’orgoglio partenopeo e la prospettiva di essere l’erede di Diego Armando, ma sulla seguente motivazione: «I calciatori sappiano che in Inghilterra si vive male, si mangia male e le donne non si fanno il bidet». Dinanzi a questa denuncia igienico-salutistica, non smentita dall’ambasciata e da Buckingham, Lavezzi è rimasto a Napoli e lo stesso presidente, arrivato in elicottero e trasferitosi a bordo dell’ultima ammiraglia della Costa Crociere, aveva abbracciato ed esaltato, dinanzi a spalti gremiti, il ribelle, come si fa appunto nei film o nelle canzoni napulitane, scurdammoce o’ passate, chi ha avuto ha avuto.
Posso immaginare tuttavia che stavolta il presidente non abbia trascorso una notte serena, osservando le stelle, ripensando alle parole dette su Marino e su Donadoni. Ma questo non è un film, non è un cinepanettone, anche se i due, uno almeno, non mangeranno il dolce in questione. Questa è cronaca vera, roba che un fabbricante di sogni non aveva immaginato. E non è vero che i sogni muoiono all’alba.

Anzi, per il Grande ufficiale al merito della Repubblica italiana domani è un altro cinema.

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