da Roma
Quando arrivavi sotto al Palaeur eri dentro e sopra la calotta di un'astronave. Un velivolo che faceva da spola lungo la Cristoforo Colombo. Saliva l'umido del laghetto, con il palazzo dalle vetrate verde-acido dell'Eni. Nei Sessanta là dentro avevano combattuto Clay, Lopopolo, Mazzinghi, Benvenuti... Nel 1974, ai tempi di Selling England by the Pound , al concerto romano dei Genesis, ero riuscito a farmi fare un autografo su un pezzo di plastica da quel criceto di Peter Gabriel. Ora che scavalco il dosso e osservo i due palazzoni bombardati, prima di superare viale Europa (la Montenapoleone dell'Eur) e guardare i lavori incompiuti della «Nuvola» di Fuksas, ripenso ai rodei notturni con le Giulie Alfa Romeo che salivano da Ostia per derapare attorno all'obelisco e puntare il palazzo della Civiltà (Colosseo Quadrato o Groviera: usato come fondale in Boccaccio '70 da Fellini per stamparci sopra Anitona Ekberg). Il Gran Palazzo di pietra dalle cento finestre bucate come orbite che leggono il passato e il futuro.
Un attimo prima di svoltare su piazzale Konrad Adenauer, riesco a leggere sul frontone di travertino: UN POPOLO DI POETI DI ARTISTI DI EROI... e ricordare che la faccia opposta si staglia sulla Magliana. Ma io non sono qui per la troppo epicizzata Banda della Magliana. Parcheggio di fronte al Caffè Palombini per raccontare le feroci gesta di Laudavino De Sanctis detto Lallo lo Zoppo, colui che, poliomielitico, fuggì appeso a corde e lenzuola due volte da Regina Coeli e una dal carcere di Pisa. Il criminale a capo della Banda delle Belve, quello che lavorò con il Clan dei Marsigliesi; quel Lallo, zoppo come Moravia, il quale vestiva con giacche a due taschini e spacchi e che, già nei primissimi Settanta, si «faceva» le gioiellerie e posava le chiappe sulle meglio automobili. Cresciuto tra la borgata Gordiani, i ricoveri in ospedale, il carcere di Porto Azzurro, doveva affinare e affilare la testa per sopperire alla malattia, per avere il fegato e raccontare: «Quelli della Magliana a me me facevano l'impicci. Giuseppucci era anche più scemo».
Tergiverso, non entro da Palombini. Lalletto fu tra quelli che tagliarono l'orecchio a Paul Getty. Per curarsi il linfoma fu scarcerato a sessant'anni e passa, ma invece di starsene buono rimise su un trafficuccio di droga. Quando lo beccarono su uno scooter truccato, disse: «Non m'importa di tornare in carcere. Ma non mi perdono di non essermi accorto che la polizia mi pedinava».
Nel 1975 al cinema davano Profondo rosso ; Mina cantava L'importante è finire . Mentre a piazza dei Caprettari, due criminali irrompono all'interno di un ufficio postale. L'agente Giuseppe Marchisella viene abbattuto a colpi di Magnum. Il bottino sarà di 400mila lire. Firma Lallo. Cinque giorni dopo, a Barletta, da un quarto piano si butta giù Clara Calabresi, la fidanzata di Marchisella: muore dopo dieci giorni di coma.
Ora entro nel Caffè Palombini. Ci sono i pariolini dell'Eur; gli ex coatti della Montagnola. Sullo scorrevole di cristallo vedo giovani in polacchine, smanicati, Rolex. Capto: «A na certa». Sorvolo sui fatti di Mafia capitale e company. Mi sembrano attrezzi buttati dal Circo Americano di una volta. In fondo riconosco l'affresco di Gentilini, Carnevale romano , con i Pulcinella e i mandolini. E ripenso che qui al bancone hanno fatto colazione con cornetto e cappuccino: Rosi, Scola, Patroni Griffi, Antonioni quando girò L'eclisse con Monica Vitti e Alain Delon (forse a bar appena inaugurato), Dino Risi con Il giovedì , Liliana Cavani con La pelle . Solo Roberto Rossellini e Anna Magnani non poterono perché alcune scene di Roma città aperta furono girate all'Eur ma il Caffè ancora non esisteva. Allora con la mente riprendo dall'Estate Romana. Siamo nei primissimi Ottanta. I Ricchi e Poveri cantano S arà perché ti amo ; l'indimenticabile Alberto Camerini, Rock'n'roll robot . E a Roma non c'è il Tevere che, dalle anse della Magliana, sulla pista ciclabile, sembra un cupo fiume etrusco. A Roma c'è un altro fiume in piena. Si chiama: eroina .
A proposito di fiume: nel 1980 Lallo e i suoi rapiscono l'industriale del marmo Valerio Ciocchetti. La famiglia paga il riscatto, però il corpo viene ritrovato crivellato di colpi nel Tevere, con i piedi zavorrati con la pietra. Il 17 aprile del 1981 tocca al «Re del caffè» Giovanni Palombini. L'anziano imprenditore con sua moglie tornava a Roma a bordo di una «132» proveniente da Amatrice (dove hanno inventato i bucatini all'amatriciana). Viene tenuto sequestrato per mesi. I familiari continuano a pagare rate per il riscatto e a mettere inserzioni sui giornali, cercando di non interrompere il contatto con la banda. Non sanno che le foto che gli giungono sono quelle di un cadavere. Il «Re del caffè» fu ucciso subito. L'uomo riuscì a fuggire dalla villa nella quale era tenuto prigioniero ma senza saperlo chiese aiuto a una complice dei rapitori. Gli spararono un colpo a bruciapelo. E siccome Lallo lo Zoppo aveva la fissa dei congelatori, il criminale pensò bene di infilarcelo dentro affinché il corpo non si decomponesse. Ma una cosa che nessun giornale riporta è che Lallo afferrò un piccone e fratturò le ossa al povero Palombini. Quanto segue è la diretta testimonianza del De Sanctis prima di morire. «Mi piaceva tanto il supermercato. Quando ero fuori andavo sempre al supermercato e riempivo di cibo i carrelli: champagne, quaranta tipi di formaggio. Passo davanti al banco dei surgelati: verdure, pesce, carne. Grandi pezzi di carne con la scadenza stampigliata sopra: sei mesi. È andata così: ogni tanto tiravamo fuori il corpo, lo truccavamo un po' e lo mettevamo seduto con un giornale tra le mani e gli occhiali scuri. Lo fotografavamo e spedivamo le immagini ai parenti per avere le rate del riscatto. Ma dovevamo essere velocissimi: dopo pochi minuti fuori dal ghiaccio il viso si copriva di una patina bianca come brina».
Quando riprendo la Pontina ricordo che Lallo rapì anche Mirta, la rampolla Corsetti; ma per fortuna la ragazza fu liberata. Mentre picchio giù sulla 148, mi accorgo che potrei imboccare l'Ardeatina e ritrovarmi a Lavinio, dove tennero prigioniero e uccisero Palombini. Proprio dove abita mio cugino Leopoldo, una traversa di via Diana, dentro una villa barocchetta venduta per trecentomila euro. Nel giardino non trovarono il cadavere di Giovanni Palombini, bensì quelli di Giacomo Palermo e della sua donna Angela Piazza, massacrati da Lallo perché non avevano tenuto la bocca cucita. Anche il cadavere di Paolo Provenzano vi fu rinvenuto. Era stato del gruppo di piazza dei Caprettari e aveva partecipato alla rapina a Termini insieme al Castellani detto «Il bavoso» e a suo fratello «Il bavosetto». Fu quest'ultimo che, pieno di bombe a mano, protesse la ritirata degli altri a piazza Vittorio, lanciando ordigni alle volanti. Sulla Pontina pensavo anche che, se prendevo la Roma-Napoli, sarei uscito a Valmontone. Infatti fu tra Genazzano e Valmontone che il cadavere martoriato di Giovanni Palombini fu scoperto.
Era vestito con una tuta da ginnastica blu, il polso stretto da una catena, gli occhi bendati con un nastro adesivo. Ora che supero Pomezia, su questa strada maledetta, vedo la linea dei Colli Albani. Mi viene in mente che a Genazzano c'è la Madonna del Buon Consiglio. È un pensiero che mi calma.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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