Stanno diventando come i cinesi. Quelli, i cinesi, invadono le città, i brasiliani invadono le squadre del calcio. Vecchia storia, si dirà. Il brasiliano sta al calcio come la renna a Babbo Natale. Vero, ma prima erano solo nazionale verde oro, poi i profeti del calcio che diverte e vince, ora la più potente multinazionale del pallone nel calcio europeo. Dici Champions league e leggi Champions do Brasil. Cè solo limbarazzo della scelta, senza distinzione di ruolo. Fra le sedici squadre che si sono classificate agli ottavi, solo il Celtic evita la contaminazione. Le altre, chi più chi meno, hanno attinto al pozzo senza fondo di un calcio che produce di tutto e di più: bidoni compresi. I conti dicono che in Europa si sono classificati 54 giocatori brasiliani (considerando anche Deco che è un mezzo sangue) più un allenatore il cui nome vale una leggenda: Zico. A gennaio probabilmente la schiera aumenterà: il Milan potrà schierare Pato, lInter inserirà Cesar e magari Adriano. Proprio lInter fa caso: squadra notoriamente con vocazione argentina, da qualche tempo sta allargando i suoi confini. Per il prossimo campionato, per esempio, è già previsto lingaggio di Carvalho, il trequartista che ha giocato questa Champions con il Cska Mosca, guarda caso una delle squadre a più alta densità di brasiliani. Come vedete, i brasiliani non hanno più paura del freddo, una volta vero ostacolo al loro giocare in campionati di temperatura particolarmente rigida. Oggi Francia, Germania, Russia, Olanda, Italia sono terre di conquista.
E se una volta dicevi Brasile e pensavi attaccante, oggi cè solo limbarazzo della scelta: abbondano difensori, centrocampisti e perfino portieri. I numeri uno sono cosa nostra, ovvero italiana. Fra i 5 qualificati, quattro giocano nelle nostre squadre: Dida e Julio Cesar a Milano, Doni e Julio Sergio Bertagnoli nella Roma. Nel conto abbondano i difensori (18), seguono centrocampisti (16) e attaccanti (14). Come dire che il mondo si è rovesciato. Una volta i difensori, portieri compresi, erano considerati i brasiliani «falliti». Oggi fanno cassa e successo.
Fa colpo scorrere la formazione del Fenerbahce, squadra di ortodossia calcistica turca, e scoprire che la sua colonna vertebrale è made in Brasil, compreso luomo della panchina. Brasiliani che ormai si nascondono fra gli anfratti della doppia cittadinanza o della nazionalizzazione. La doppia cittadinanza o la possibilità di diventare comunitari è il primo obiettivo di tutti. E forse ha avuto ragione Sepp Blatter quando ha lanciato lultimo suo grido di dolore. «Ai mondiali del 2014 rischiamo di avere sedici nazionali con un pieno di brasiliani naturalizzati». Noi italiani siamo esperti in materia, avendo già schierato diversi brasiliani naturalizzati in tempi antichi (Altafini, Sormani). Oggi il problema è più ampio, dovuto soprattutto alla sovrabbondanza di giocatori. «In Brasile ci sono 60 milioni di calciatori, peccato che ne possano giocare solo 11 in nazionale», ha sintetizzato Blatter per spiegare il fenomeno che poi si lega a business e fattori economici. Il brasiliano piace a prescindere e, calcisticamente, è un «prodotto» che non va mai fuori moda.
Le nostre squadre, insieme a Porto, Lione e Fenerbahce, sono quelle che presentano la maggior varietà. I nomi più comuni in Europa? Julio Cesar, Adriano, Anderson. Cafu e Roberto Carlos capeggiano la fila dei nonnetti. Anderson, lattaccante del Manchester, classe 88, quella delle giovani speranze. Kakà è unico, non a caso questanno ha vinto Pallone doro e (storia di ieri) il premio della rivista inglese World Soccer.
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