Calcio

Garcia appeso al filo

De Laurentiis ieri si è confrontato con tecnico e dirigenti. Rapporti con lo spogliatoio, gioco, e difficoltà con le big sul tavolo. Fiducia a tempo limitato. Ma si pensa a Tudor, il sogno è Conte

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La faccia di De Laurentiis dopo la sconfitta di domenica sera era più scura delle casacche che aveva fatto indossare alla squadra. Grigio forte tendente al nero per Halloween in arrivo: avanti e indietro nel ventre del Maradona per decidere se comunicare o tenersi tutto dentro. Sarebbe servito sfogare la delusione contro squadra o allenatore? O prendersela con sé stessi se dopo sette giornate di campionato la scelta estiva non si è rivelata la più felice? Perché ieri in casa dei campioni d'Italia s'è riproposto l'antico dilemma: andare avanti con Garcia o cambiare strada. Proprio mentre a Bari, altro feudo calcistico dei De Laurentiis, si tagliava netto: via Mignani.

De Laurentiis ha riflettuto e chi l'ha fatto insieme a lui, assicura che non è stato sul punto di salutare l'allenatore francese. Ma voleva capire, doveva capire: Garcia è l'allenatore ideale? Domanda legittima se la squadra inciampa tre volte in casa, sempre quando l'avversario sale di tono: Lazio, Real Madrid, Fiorentina. È palese che non sia sbocciato alcun feeling tra Garcia e lo spogliatoio: forse perché le sue parole in ritiro («il passato non conta, giocheremo in maniera differente») non sono mai state gradite dal gruppo? Non è scattata la scintilla, prova ne è il fatto che in tre settimane accadono tre episodi simili: prima Osimhen, poi Kvara e domenica Politano hanno contestato platealmente la panchina. Le accuse più o meno velate rivolte agli azzurri («non siamo aggressivi, ci manca cattiveria, facciamo pochi falli») è un'altra spia del malessere: alla squadra sono state tolte quelle certezze che avevano reso il gruppo solido, imbattibile. Una sola cosa con il vecchio allenatore.

E poi gli equivoci tattici: il Napoli non fa pressing, non gestisce più dell'avversario il possesso palla, la squadra è lunga come dimostra Osimhen che pare abbandonato a sé stesso. Ha una fase difensiva che fa acqua, a Raspadori non è stata trovata la giusta posizione, non s'è capito quale sia il ruolo di Lindstrom, Kvara è irriconoscibile. E poi le sostituzioni cervellotiche: si fa male un mediano (Anguissa) e va dentro un attaccante (Raspadori) consegnando di fatto il centrocampo all'avversario, fuori Osimhen e Politano che erano stati i migliori in campo.

Oggi nemmeno il presidente saprebbe dire come gioca il Napoli. L'impressione è che voglia giocare inconsciamente ancora «alla Spalletti» mentre Garcia non riesce a trasmettere le sue idee. Risultato: la squadra per 10/11 è la stessa che ha trionfato a maggio ma ha la testa confusa. O peggio ancora: pare non sia convinta di cambiare spartito. A questi dubbi Garcia deve aver replicato in maniera convincente se ieri sera il presidente non si è lasciato coinvolgere dall'umore popolare: nella sua testa frullano i nomi di Igor Tudor e di Antonio Conte, un suo vecchio pallino.

Alternative che diventeranno certezze se la fiducia a tempo concessa al francese non partorirà risposte forti in tempi brevi.

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