Italo Cucci: "Giornalismo sportivo messo in fuorigioco dal politicamente corretto"

Lo storico direttore del Guerin sportivo: "Carta stampata in crisi di tristezza. Ma io, a 87 anni, continuo a divertirmi"

Italo Cucci: "Giornalismo sportivo messo in fuorigioco dal politicamente corretto"
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Italo Cucci, 87 anni. E una passione per il «mestiere» («Mi rifiuto di chiamarla “professione“») che non è mai diminuita. Anzi, cresce. È il giornalismo, bellezza. O è la bellezza del giornalismo. Che poi è un po' la stessa cosa. Da quasi un secolo sempre sul pezzo, prima da inviato speciale giramondo, poi direttore onnipresente («Il primo ad entrare in redazione accendendo la luce, l’ultimo a uscire spegnendola...»). Ora continua a divertirsi col suo seguitissimo podcast settimanale («La barba al palo») trasmesso dall'agenzia Italpress (di cui è direttore editoriale). Cucci, imperterrito, non smette di sperarci: «I giornalisti dovrebbero rivalutare le belle storie umane che trasmettono felicità e gioia di vivere - ci racconta -; nulla a che fare con una sdolcinata rassegna di “buone azioni“, bensì un approccio gioioso alla vita. Esistenze che possono diventare favole sia raccontando personaggi famosi sia narrando vicende di provincia». Invece sulla carta stampata sportiva assistiamo ancora alla liturgia polverosa delle cronache delle partite di calcio (in edicola il “giorno dopo“, quando le immagini le hanno già viste e riviste tutti il “giorno prima“...), alle «pagelle» e ai «tabellini», roba attuale quanto un gettone telefonico nell’era dell’iPhone d’ultima generazione. «La crisi dell’editoria è anche una “crisi di tristezza“ - sottolinea Cucci -. Nelle pagine condite di numeri e statistiche manca il sale della risata, dell’umorismo, dell’ironia, del sarcasmo. Al contrario, ci si prende terribilmente sul serio».

Il risultato è un prodotto pesante, pedante, anacronistico e uguale a se stesso giornata dopo giornata nella Champions mediatica della noia. Insomma, l’opposto dello spumeggiante «stile Guerin Sportivo», la celebre testata che Cucci ha diretto per tre volte ogni, ravvivandola sempre con trovate «acchiappa-lettori»: «Il segreto di quel successo? Aprirsi al mondo creando un’oasi di libertà - spiega Cucci -. Intellettuali di varia estrazione erano felici di collaborare, dando ognuno con il proprio talento un’interpretazione dello sport fuori da schemi». Scorrere la lista delle firme (Montanelli, Soldati, Fortebraccio, Cederna, Arpino, Bianciardi, Del Buono, Zavoli, Tosatti, Mura, ecc.) che in varie epoche hanno nobilitato il Guerin d’antan («Ma anche quello di oggi, diretto da Ivan Zazzaroni, ne custodisce lo spirito») marca la differenza di spessore tra l’autorevolezza dei commentatori di ieri e gli «opinionisti» youtuber di oggi.

«Le faccio un esempio - aggiunge Cucci -. Pochi mesi prima che venisse ucciso, dedicai a Pier Paolo Pasolini la copertina del Guerin, perché lui amava il calcio, lo giocava, lo capiva. In questi di giorni di commemorazione del 50ennio della sua fine, ho letto sui giornali solo ricordi tetri. Io ho preferito celebrarlo attraverso l’entusiasmo debordante con cui viveva in prima persona il ruolo di calciatore, tifoso e appassionato di sport».

Il giornalismo, per rilanciarsi, dovrebbe ripartire dall’umanità di questa «poesia»? «Sarebbe

bello, ma la realtà è diversa - si rammarica Cucci -. Siamo schiavi del politicamente corretto: questo non si può dire, quello non si può fare, quell’altro non conviene...». E così il vero giornalismo va a farsi benedire…

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