La calma di Tremonti: non pensa a lasciare e apre al nuovo fisco

RomaMartedì è stato il dies irae, ieri la giornata della razionalità. Nelle ultime ore, a quanto si racconta, in Giulio Tremonti sembra aver prevalso una sorta di calma fredda. Il superministro dell’Economia viene descritto addirittura «tranquillo»: nessuna minaccia di dimissioni come in tante occasioni del passato, e anzi un’apertura di massima all’anticipo in giugno della legge delega sulla riforma fiscale. È tuttavia evidente che prima di una qualsiasi iniziativa di tipo tecnico sia necessario il chiarimento politico: così si spiega il rinvio dell’incontro fra Tremonti e gli esperti - Vieri Ceriani, Mauro Marè, Piero Giarda ed Enrico Giovannini - che presiedono i quattro tavoli tecnici sulla riforma, previsto per il pomeriggio di ieri. I risultati dei quattro gruppi di lavoro verranno comunque analizzati in riunione plenaria martedì prossimo.
Certo, martedì non era stata una gran giornata per il ministro dell’Economia. Il caffè gli era andato di traverso alla lettura della paginata sul Corriere della Sera che di fatto lo indicava come responsabile numero uno della disfatta elettorale del centrodestra. In tarda mattinata aveva scorso sulle agenzie di stampa il «no» di Mario Draghi ai tremontiani tagli lineari di spesa, il «sì» del governatore alle riduzioni di spesa mirate voce per voce, e soprattutto la richiesta di ridurre le tasse. In serata poi c’è stata quella frase di Berlusconi - «Tremonti non decide, propone» - per la quale il ministro dell’Economia ha chiesto, e ottenuto, una conferma di fiducia da parte del presidente del Consiglio.
Viste le prime pagine dei giornali, ieri in molti pensavano alla scoppio dell’atomica in via XX Settembre. Invece niente. Il ministro ha letto con soddisfazione l’intervista del governatore leghista Luca Zaia in cui si dice che «senza Tremonti l’Italia avrebbe fatto la fine della Grecia o del Portogallo», e in cui si ribadisce l’obiettivo primario del federalismo fiscale, che il ministro dell’Economia garantisce. Ha quindi ricevuto il vicepresidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping, e ha atteso con estrema tranquillità la riunione del comitato di presidenza del Pdl.
L’anticipo a giugno della delega sulla riforma fiscale è gratis, nessun problema a concederlo. Del resto, l’impianto è noto, Tremonti l’ha in mente da più di vent’anni. Il primo passo sarà lo spostamento della tassazione «dalle persone alle cose», ovvero dal lavoro ai consumi. Si ipotizza il taglio di un punto dell’aliquota del 23 e del 28 per cento, con un sollievo sui redditi fino a 28mila euro l’anno. Potrebbe essere introdotta una prima, timida forma di quoziente familiare (formula che piace molto, e favorisce le famiglie numerose, anche se sono evidenti le controindicazioni sull’occupazione delle donne). In compenso dovrebbe essere aumentata l’Iva, con l’aliquota ordinaria al 20%, mentre resterebbe al 4% l’aliquota sui beni di prima necessità. Però, è da tener presente che commercianti e artigiani, dove il Pdl pesca voti, contro l’aumento dell’Iva sono scesi sulle barricate.
Il tutto deve risultare a costo zero per il bilancio pubblico: in sostanza, quel che non si incassa a destra dev’essere incassato a manca. Ed è proprio questo il nocciolo della questione. I «cordoni della borsa» non si possono aprire, spiega Tremonti sino allo sfinimento, perché ci sono impegni con l’Europa al pareggio di bilancio nel 2014, e questo presuppone una manovra da 40 miliardi di euro. I mercati sono in agguato, e per questo motivo Tremonti pensa alla presentazione simultanea di delega fiscale e correzione dei conti, in giugno. Fate un disegnino a Brunetta, avrebbe supplicato il ministro dell’Economia, riferendosi all’afflato sviluppista del ministro veneziano che aveva promesso a inizio legislatura risparmi per 30 miliardi dalla pubblica amministrazione.

E del resto la cartina di tornasole la rappresenta alla perfezione il segretario democratico Pier Luigi Bersani: «Il pressing su Tremonti andava fatto prima per fare uno sforzo sulle riforme», dice, allineandosi così a Roberto Formigoni e a tutti quelli che, nel Pdl, pensano che la scelta sia fra la borsa (allargata) o la vita.

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