Cameron, il conservatore rivoluzionario

A vederlo, non fa molta simpatia, David Cameron. E non mi pare che abbia un gran carisma. Meno simpatia fanno i suoi sostenitori, da certi Tory a Murdoch, fino all’Economist, specializzato in diffamazione dell’Italia a mezzo stampa: l’ultima che mi colpisce negli affetti più intimi, definisce il Sud d’Italia «il regno del Bordello» ed auspica la sua espulsione dall’Europa. Ma Cameron non è solo la password che l’Inghilterra ha scelto per chiudere con i laburisti di Gordon Brown e accedere al cambiamento. Cameron è il leader giovane e pragmatico di un partito giovane e antico, il Partito conservatore, e ha saputo rianimarlo in modo interessante. Lo dico pensando al Regno Unito, ma anche all’Europa, all’Italia e alla sua destra. Cameron ha promesso una rivoluzione conservatrice. Il termine, per gli europei continentali, evoca grandi movimenti di idee calate nella storia, grandi autori. Ma nel gergo politico atlantico, si parlò di rivoluzione conservatrice a proposito dell’onda reaganiana; ne parlò Guy Sorman, per esempio. Qual è la novità del giovanottone inglese? Cameron ha capito che non si può essere conservatori con la parrucca nell’anno di grazia 2010 e nemmeno si può riproporre la ricetta Thatcher, salutare trent’anni fa. E allora ha shakerato idee forti e valori permanenti della tradizione conservatrice con nuove idee, nuovi linguaggi e aperture al presente. Il tutto incartato in un look informale, sportivo e rassicurante.
Le tre principali differenze rispetto ai conservatori del passato sono assai interessanti per noi europei perché sembrano provenire dal nostro continente. La prima è la svolta sociale del conservatorismo, il progetto riformatore, la convinzione che lo Stato debba garantire maggiore giustizia sociale, più qualità alla scuola pubblica, controllo dell’anarchia finanziaria, dopo le follie prodotte dal mercato. Una svolta rispetto alla tradizione conservatrice inglese e rispetto al liberismo della Thatcher; ma una svolta che riannoda i conservatori britannici alla tradizione cristiano-sociale, gollista e di destra sociale europea. Da noi una svolta analoga l’ha fatta Tremonti, passando dal liberismo a una visione sociale dello Stato, critica verso il mercatismo e rafforzata dalla difesa della tradizione. La seconda novità rispetto ai conservatori è l’interesse per l’ambiente, la difesa della natura dal degrado e dall’inquinamento, la visione di un eco-conservatorismo che toglie finalmente il monopolio verde al velleitario ideologismo radical e lo coniuga al realismo dei conservatori. Bella svolta.
Il terzo tema nuovo e forte è l’idea di comunità, tema centrale della nuova destra europea. Un’idea forte, che consente da un verso a Cameron di svoltare rispetto all’individualismo dei conservatori o all’idea popperiana della Thatcher che la società non esiste, esistono solo gli individui. Ma dall’altro verso l’idea comunitaria permette a Cameron di riprendere in modo nuovo la difesa dei legami territoriali, l’identità nazionale, le tradizioni inglesi, le radici cristiane della nazione, la famiglia, che è al centro del discorso di Cameron, la politica per l’infanzia e la tutela del matrimonio. Qui si innestano alcune aperture di Cameron, anche discutibili, come i Pacs per riconoscere le coppie omosessuali, una maggiore indulgenza sul piano dei costumi, dopo il rigorismo puritano e vittoriano, peraltro impraticabile dopo tanti episodi in cui sono rimasti coinvolti anche esponenti conservatori; o una linea più morbida verso le droghe che ora è invece rientrata, visti gli effetti devastanti che ha prodotto. C’è qualcuno in Italia che si attacca a questi spunti marginali e in parte rientrati per ricavare un’analogia con il nuovo corso finiano. Ma dimenticando i temi forti e centrali di Cameron, sulla famiglia, l’identità nazionale, la tradizione religiosa, la comunità, o la tolleranza zero contro la criminalità e l’immigrazione clandestina. A proposito d’immigrazione, per Cameron è fallito il modello multiculturale inglese; bisogna da un verso riconoscere e rispettare tutte le etnie e i loro diritti, integrando a pieno titolo gli immigrati regolari, ma dall’altro bisogna garantire la coesione nazionale, il rispetto delle leggi inglesi e il primato della comunità nazionale sulle minoranze etnico-religiose.
Ricavo questi giudizi e queste sue posizioni dopo aver seguito non solo la sua campagna elettorale, ma dopo aver letto due libri tradotti in Italia da Pagine, «La mia Rivoluzione conservatrice», frutto di una conversazione con Dylan Jones (uscito in Italia con una prefazione firmata da Fini); e poi, nella collana dei libri del Borghese, «Cameron, nuovo conservatorismo», a cura di Francis Eliott & James Hanning. Non so se Cameron riuscirà a mettere su strada queste idee, e se riuscirà a fare un governo, visto che ha vinto ma non ha la maggioranza assoluta dei seggi perché mentre noi scoprivamo il bipolarismo dell’alternanza, gli inglesi si sono convertiti al tripartitismo e alla logica continentale delle coalizioni. Però sarebbe una bella scommessa e un bell’esperimento.
Noto in definitiva due cose: l’Inghilterra somiglia sempre più all’Europa continentale e i conservatori di Cameron vi si adeguano con duttile intelligenza. Ed è un paradosso, considerando che Cameron resta un euroscettico. E poi, dopo l’epoca di Blair, laburista molto lib e poco lab, molto filoamericano e guerriero, arriva un conservatore che riscopre il sociale, la comunità, che sa dissociarsi dagli Stati Uniti e disapprovare Israele quando lancia i missili, che critica Bush per la disattenzione all’ambiente (ma poi lo imita riprendendo il suo conservatorismo compassionevole). Che la sinistra inglese sia sempre più liberal e sempre meno comunitaria, lo avevo riscontrato in un carteggio con sir Ralf Dahrendorf che opponeva al mio comunitarismo la visione individualista.

Cameron coglie le conseguenze di quella svolta. Cameron nutre simpatia per Obama e Sarkozy e invece non conosce Berlusconi; è tempo per entrambi che si cerchino e si incontrino presto. Auguri, perfida Albione dal Bordello del piano di sotto.

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