Politica

Campanilismi Ecco il treno per i piemontesi vietato ai liguri

È noto che i piemontesi intendono l’Italia come un grande Piemonte allargato, fino a Trieste e fino a Lampedusa. È un vecchio sogno sabaudo, ora trasformato in languida malinconia. Ma qualcosa resta sempre. Torino è il centro del mondo, attorno è tutta periferia. La Liguria, non ne parliamo. Concettualmente, idealmente, è territorio loro. Purtroppo, adesso non tutto gira come una volta: questa propaggine costiera del Regno mantiene il vantaggio di avere un buon clima salmastro e un bel mare azzurro, ma ha il difetto di avere i liguri. La fastidiosa invadenza degli autoctoni raggiunge l’apice insopportabile sui treni per le vacanze: quando i piemontesi scendono sulle loro spiagge, si ritrovano le carrozze stipate di pendolari locali, con tutti i loro problemi di spostamento breve e di piccole necessità quotidiane. La promiscuità ha sempre causato lamentele e proteste in seno all’etnia piemontese, convinta che quando una popolazione va al mare non debba ritrovarsi addosso una moltitudine sudata e compressa di indigeni con altro per la testa.
Ora, finalmente, il governo piemontese ha messo mano alla questione e ha sanato il grosso disagio dei suoi amati sudditi: contattata Trenitalia, ha comprato un intero convoglio domenicale, il Torino-La Spezia delle 7,15. Tutti i posti sono riservati: ovviamente possono riservarseli soltanto i piemontesi di residenza e di madrelingua. Per evitare che i liguri facciano i portoghesi, infilandosi subdolamente in carrozza, la prenotazione è possibile solo fino a Novi Ligure, che come noto di ligure ha soltanto il nome, essendo pure essa piemontese. Da quest’ultimo avamposto in avanti, non si può più salire: solo fermate per scendere. E i liguri? Dannazione, che possono volere i liguri: abbiamo voluto il federalismo, una Regione sarà ben libera di farsi un treno in proprio. Si stringano un po’ sui loro treni locali, i liguri.
In attesa che sulle nostre rotaie passino treni per soli somali pagati dalla Somalia, o treni per soli trentini pagati dal Trentino, l’operazione sta inevitabilmente suscitando molte discussioni. Da una parte c’è la regione Piemonte che interpreta i bisogni della propria gente, investendo una certa cifra per migliorare il servizio balneare (110mila euro in totale per l’estate, rafforzate con carrozze speciali anche le corse verso il Ponente). Dall’altra parte c’è la Liguria, che si vede scavalcata, in un certo senso persino umiliata, ma c’è soprattutto il principio: è accettabile questa innovazione?
Inutile dire che a monte ci sta sempre la cronica incapacità del nostro sistema ferroviario di far fronte alle domande di spostamento, nazionali e locali, ma questo è un altro discorso. Il solito, che da generazioni ci portiamo nella tomba. Resta però il caso: il fai-da-te regionale. Più che di applicazione del nuovo federalismo, è forse il trionfo dell’antico campanilismo. Non si può neppure parlare di esclusiva piemontese, perché sempre più spesso ormai singole amministrazioni, al Nord e al Sud, di destra e di sinistra, si applicano molto sulle singole questioni dei singoli territori. Siamo ad un localismo di ritorno. Ad un nuovo minimalismo della politica. C’è anche chi non perde occasione per parlare sbrigativamente di razzismo, ma c’entra poco: se a Foggia o a Crotone o a Sondrio si fanno pullman per soli braccianti agricoli, non è per tornare ai bus per negri che il buon Martin Luther King ha combattuto tutta una vita, ma semplicemente per venire incontro a loro stessi, costretti a orari e a itinerari del tutto particolari.
Piuttosto, come direbbero a scuola, anche questo è un segno dei tempi. La politica comincia a comprendere e ad adeguarsi. Comprende che il consenso si stimola in modo diverso, e inevitabilmente batte le nuove strade per andarselo a prendere. Risolvendo questioni concrete, locali, banali. Cambia come siamo cambiati noi. Sessant’anni fa gli italiani votavano scegliendo tra Chiesa e Russia. Trent’anni fa votavano scegliendo tra Pinochet e Allende. Per dire come le scelte fossero fortemente ideali e ideologiche, su questioni altissime e lontane dal pianerottolo domestico. Oggi non è così: la rinuncia a combattere cause universali - o la convinzione amara che sono irrimediabilmente perse -, il ripiegamento sull’individuale e sul privato, sul personale e sul pratico, fa sì che una Regione spenda molto volentieri soldi per un treno delle vacanze, esclusivo e blindato, un vero treno etnico, perché solo così è possibile la politica «con la gente, per la gente, dalla parte della gente».
Se questa è la nuova frontiera, avanti con le richieste. Ai milanesi serve un volo riservato per Roma, senza tutti quei romani tra i piedi che famo, dimo, vedemo. Ai romani serve invece un volo esclusivo per Milano, senza tutti quei milanesi che dopo aver goduto la bella vita della capitale tornano a casa parlando male di Roma ladrona. Se proprio dobbiamo viaggiare da signori, facciamolo fino in fondo. Con il personalismo spinto, piano piano, costruiremo il nostro piccolo mondo felice, senza scocciature e senza fastidi. Il migliore dei mondi possibili.

Dove le frontiere passano sull’uscio di casa.

Commenti