(...) Che servisse una politica che non sa stare in politica. Nellaccezione più politica del termine. Cioè una donna che potesse presentarsi come espressione della migliore società civile, spigliata al limite (e anche oltre) dellinsubordinazione al partito e ai suoi dirigenti, ma nello stesso tempo abituata a mettere in riga chi laveva presentata come sua prediletta e pronta a rompersi e a rompere (i rapporti) piuttosto che a piegarsi anche solo un pochino. In una parola, Susy De Martini. La candidata ideale per chi cercava queste caratteristiche, di cui ha sempre dato ampia dimostrazione.
Lo sapevano ad esempio molto bene i lettori del Giornale, che avevano apprezzato la professoressa De Martini e larguta Susy come editorialista nelle pagine liguri ma anche nazionali, prima di perderla improvvisamente di vista salvo che non comprassero anche Il Secolo XIX, con cui fino a quel momento aveva solo scritto a carte bollate. Peraltro poi ritirate per nobile solidarietà al Giornale a sua volta querelato. Solidarietà dimostrata e rivendicata dalla prof a tutta pagina anche quando si trattava di rinunciare a un suo (virtuale) posto in lista in quota Dini per le politiche, a vantaggio del posto (reale) per Enrico Musso.
Già, Lamberto Dini. Il suo mentore politico. Pronto a tentennare tra centrodestra e centrosinistra. Prendo i voti di qua e li porto di là. Tanto che Susy De Martini a volte si trovava daccordo con lui e a volte no, e non sempre necessariamente quando era Dini a cambiare sponda. A volte lei dialogava con lUdc, tra innamoramenti improvvisi e feroci litigate con il suo leader ligure.
La capacità della professoressa di muoversi in tutti gli ambienti ai più alti livelli non era certo ignota. Fin dai tempi del G8 era stata scelta come «assistente personale», un braccio destro un po più destro del capostruttura, Achille Vinci Giacchi. Ma anche allora, a piazze ancora fumanti, non aveva esitato a prendere le distanze dalle cose che non le erano affatto piaciute e a raccontare tutto quello che sapeva alla magistratura che indagava sugli errori di Stato del G8. Costretta a difendere col segreto professionale i suoi pazienti psichiatrici, ha sempre dimostrato di conoscere perfettamente i flebili confini tra il segreto istruttorio e il diritto di stampa. Anche e soprattutto quando passava dagli uffici del pm Luigi De Magistris, in qualità di persona informatissima sui fatti, salendo infine - fisicamente non metaforicamente - sul carro di don Gallo che sfilava per le strade di Genova per chiedere «verità e giustizia» (cioè limpunità per i devastatori) sui fatti del 2001 a suon di bestemmie vergate sui muri.
Insomma, che l«unica candidata ligure» non sia mai stata adatta a un ruolo da centrale difensivo, o da mediano tutto raccattapalloni per i compagni di squadra, era noto. Lei è sempre stata una punta alla Ibra, una che resta al 99.99 per cento se i suoi dirigenti la obbediscono.
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