(...) Lui però, di scena lunedì al Teatro di Verdura, minimizza: «Scrivevamo quel genere di canzoni - dice - perché non eravamo capaci di fare diversamente. E non abbiamo fatto nulla di eroico: ci siamo limitati a riportare nella musica la realtà».
Mica una cosa da niente, però. Se ha consentito a milioni di giovani di commuoversi alla storia minima duna gatta, «che aveva una macchia nera sul muso» e se sentiva suonare una chitarra sorrideva. Di riconoscersi nelle parole damore che il tempo erode come i sassi «che il mare ha consumato», di avvertire il fiato dellinfinito in una stanza che una coppia in amore riesce a tramutare in cielo. E dindignarsi alle ballate di Tenco e De André sulla guerra, di condividere con Endrigo la rivendicazione pagana di Viva Maddalena, di gridare con Lauzi Viva la libertà.
Ecco, di quellepopea rimane ormai solo lui, Paoli: il «proto-cantautore» lo chiamava De André. Settantatré anni, quattro figli da tre madri diverse, una storia infinita damori, politica, antipolitica, cadute, rinascite. Una voce che gli anni rendono sempre più magica - «in mezzo secolo di musica, è inevitabile che uno impari a cantare» - e un carisma che gli anni, fatto insolito nel mondo precario della canzone, accrescono. Grazie forse ad una filosofia già espressa in un disco del 77, Il mio mestiere: ovvero, prima che unarte, o una missione, quello del musicista è appunto un mestiere, «consiste nel fornire alla gente oggetti che le siano utili, e cioè le canzoni». Così si autoritrae lex pittore Gino Paoli, con lo spicciolo buon senso e la refrattarietà alle iperboli che gli viene dalla sua genovesità: acquisita - è nato a Monfalcone - ma ormai connaturata.
Ecco come un artista restio ai trionfalismi riassume la propria carriera, glissando sugli attestati di stima ottenuti negli anni da Brel, Carmichael, Von Karajan, Sinatra che voleva cantare Senza fine ma ne fu impedito da contingenze della vita, Dean Martin che invece la cantò, Billy Wilder che la inserì in un suo film con Jack Lemmon. Tutto, si è detto, cominciò nel 60 con «Ciacola», la gatta che abitava con Gino e Anna Paoli in una soffitta sul mare di Boccadasse: poi morì e La gatta sulle prime vendette centodiciannove copie, poi simpennò diventando un clamoroso successo. Da allora sono volati quarantasette anni, punteggiati da pagine eterne - Il cielo in una stanza, Sapore di sale, Che cosa cè, I semafori rossi non sono Dio, Una lunga storia damore, Quattro amici al bar -, con leclisse dei tardi anni Sessanta e il definitivo ritorno in auge nel 74: «Gianni Borgna mi organizzò un concerto a Roma, mi aspettavo una platea semivuota e mi trovai davanti ventimila persone».
Una persistenza alla ribalta propiziata anche dallindefesso bisogno di rinnovarsi: dalle interpretazioni pucciniane - Manon Lescaut e Bohème - dun recente concerto, a Milestones, pubblicato dalla leggendaria Blue Note, dove Paoli rifà in chiave jazz alcuni suoi successi e rilegge pagine di Carmichael e Miles Davis, accompagnato da jazzisti come Rava, Sellani, Rea, Boltro, Gatto, Bonaccorso. Tutti con lui nel concerto di lunedì.
Gino Paoli
lunedì ore 21
teatro di Verdura
via Senato 14
ingresso libero con prenotazione obbligatoria via fax 02.78.23.87
info: 02.76215310
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.