Cantanti in platea e Don Giovanni sul palco con Monti

Cantanti in platea e Don Giovanni sul palco con Monti

Il regista canadese Robert Carsen (Toronto, 1954) sembra un agente del KGB. Abilissimo nel tenere la bocca cucita sullo spettacolo di lirica più atteso dell’anno. Vale a dire sul Don Giovanni che il 7, con la sua regia, inaugura la stagione della Scala. Carsen è il regista che, in una scena del suo Candide, mise in costume da bagno i potenti del pianeta (Bush, Blair, Chirac, Putin e Berlusconi). Per dire che non ha problemi a osare, e in genere lo fa con stile, un po’ come il connazionale Robert Lepage, altro mago della scena. Acqua in bocca per Carsen. Trapelano tuttavia alcune indiscrezioni. Vi possiamo dunque anticipare che sarà un Don Giovanni dove pubblico e palcoscenico difficilmente sono mai stati così vicini al Piermarini. Si parte dai cantanti che percorrono la platea, raggiungono il palcoscenico e si intrattengono con il direttore, Daniel Barenboim. In coda allo spettacolo, è stato predisposto un bel colpo di scena nell’area dei vip. Dal palco reale dove - fra gli altri - siederanno il presidente Giorgio Napolitano e il primo ministro Mario Monti, comparirà il Commendatore (Kwangchul Youn) nonché padre defunto di una delle donne (Anna) sedotte da quel libertino impenitente che è Don Giovanni (Peter Mattei). Cantanti che finiscono fra gli spettatori, e pubblico proiettato in palcoscenico per via di uno specchio gigante.
Alla fine, giù tutti i cantanti negli inferi. Ma qualcuno riappare. Chi è? Lui, il dissoluto, Don Giovanni, l’uomo che ha soggiogato tutti con il suo fascino. «È un vortice di energie che gli altri non hanno, e per questo ne sono attratti. Don Giovanni li completa, diventa una sorta di droga da cui dipendono, la sua assenza provoca disperazione», spiega Carsen, al suo settimo titolo alla Scala, sebbene sia il primo in assoluto prodotto direttamente nel teatro milanese (gli altri erano stati testati altrove). Questo è poi il suo primo Don Giovanni, «non mi piace riprendere lo stesso titolo, solo un paio di volte m’è capitato», spiega. «Chi son io tu non saprai», è il motto di Don Giovanni: uomo inafferrabile. E proprio per questo inseguito ovunque. Perché «è un uomo, alla fine, che molto ama ma pure molto è amato. Non lo interpreto come un carattere negativo. L’opera di Mozart, semmai, celebra questa energia. Certo, se tutti si comportassero come lui, sarebbe il caos, lui stesso è il caos, ma mai è capriccioso: c’è sempre una ragione che muove le sue azioni».
E il rapporto con l’oltre? Il Don Giovanni di Carsen «ha relazioni con il divino, crede in un’energia divina ma non in un Dio così come viene raffigurato dalle diverse religioni». Il titolo originale dell’opera associava alla parola libertino dissoluto quella di punito. «Punito - ancora Carsen - perché non crede nello stesso sistema religioso degli altri. Questo conferisce una forza particolare all’opera creando molta tensione. Poi chissà, era una forma per aggirare le censure». L’originalità del Don Giovanni, dramma giocoso che apre e chiude con due lutti, la morte del Commendatore e poi del protagonista stesso, sta nel suo essere ibrido, «si trovano aspetti della commedia dell'arte, della commedia sociale, è una miscela di diversi stili e livelli. Quello di Da Ponte è poi uno dei più bei libretti mai scritti, e Mozart lo traduce in modo formidabile». Non poteva che uscirne un’opera geniale e per questo, un po’ come il personaggio che la intitola, è imprendibile: eterno dilemma degli artisti che l’affrontano, regista in testa. Carsen ammette che Don Giovanni circola nella sua testa da almeno un anno e mezzo, «ma il lavoro vero può dirsi tale solo quando iniziano le prove».

Una produzione importante, questa, per Carsen, incuriosito dall’entusiasmo ed aspettative che accompagnano ogni Prima scaligera. Per andare sul sicuro, s’è portato a Milano colleghi fidati, lo scenografo Michael Levine, il coreografo Philippe Giraudeau e Pter Van Praet alle luci.

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