Cesare G. Romana
da Venezia
Dice il testo, bellissimo: «Ho visto gli occhi suoi/come il grano in mano al vento». Spiega Zucchero: «Da anni non maccadeva di sedermi sotto un fico, lontano dal vortice. Con una chitarra accanto e la melodia che nasce dimpulso dalla tua anima di contadino, uomo di terra». Dicono, del resto, che al tempo dei primi poeti, se un artista sedeva sotto un albero, il vento andasse a cantare altrove, per non disturbare la sua musica, e gli uccelli cantassero tutti assieme, per aiutare le sue dita a trovare le giuste armonie.
Zucchero sorride. «Chissà se è così. Ma questo disco, è vero, viene dalle mie radici: la voglia di cielo e il senso della terra, il gusto dei piaceri elementari e dei sogni che aiutano a volare. E il colore riposante dellazzurro, che è lo stesso del cielo, del mare e del nome di mio figlio, Blu, cui ho dedicato una canzone». Sicché tutto il nuovo, bellissimo album del musicista emiliano, Fly, presentato a Ca Vendramin in un bel clima di convivialità, salimenta «di quellazzurra poesia di cui parlo in un brano, e che questepoca disamorata va dissipando». Tanto che il sottotitolo chiede, provocatorio: «Come possiamo volare con le aquile se siamo contornati da tacchini?».
Fly è nato nella cornice agreste della Lunigiana, dove da anni Zucchero, emiliano, ha trasferito le sue radici terragne, nel segno di unidentità ritrovata che guarda allantico per precorrere il futuro. «Ecco perché in Fly cè molta melodia, sinonimo di italianità. Quella che non ha bisogno di archi o di tecnologia, le bastano tre accordi e unemozione genuina. Se poi la sposo ai ritmi ruvidi della musica nera, eccomi rispecchiato, fino in fondo. E poi cè lorgano Hammond, altro ritorno alle radici: da bambino, figlio di comunisti, bazzicavo la parrocchia per esercitarmi allorgano, e fu questo il mio primo rapporto concreto con la musica».
Ma Fly è anche un disco dal respiro internazionale, come saddice a un autore amato nel mondo, tuttora ospite, con Zu & Co, delle classifiche doltreatlantico. Italiano nella concezione - ha per coautori, in tre testi, Fossati, Jovanotti e Panella - ma cosmopolita nei suoni. Grazie anche allapporto di musicisti come il leggendario Brian Auger, Jim Keltner, Randy Jackson, Michael Landau, Lenny Castro, Pino Palladino, e alla produzione del grande Don Was: «Che ha inteso e rispettato le mie intenzioni, assecondando listinto più che la tecnica. Eliminando il piattume dei suoni elettronici in favore della genuinità, e inducendomi a suonare personalmente, qua e là, organo, pianoforte, chitarra, basso, batteria, per preservare la schiettezza dei provini».
Internazionale, anche, nella presentazione - a Venezia, città prediletta dai giornalisti accorsi ieri da tutto il mondo - ma soprattutto nei contenuti: tolti alla realtà dun pianeta «che ha bisogno darmonia e di speranza, e non le trova più. Così dico, in Un kilo: Ti han rubato il cielo/voglio saltar sul treno/quando lamore arriva. Racconto in È delicato lo sgomento dun cuore sparpagliato in cerca damore. Descrivo in Pronto la paura che ci attraversa, e diventa male di vivere: Paura degli americani/e degli inglesi/e degli italiani/e dei musulmani/e anche dei cristiani, in un mondo che ha smarrito il gusto della solidarietà».
Non mancano saporose provocazioni, in questalbum toccante e caleidoscopico. Come linvito al tripudio del corpo e dei sensi - Bacco e Venere - in Bacco perbacco, il sogno solare di Cuba libre sulle ceneri del flower power californiano, la preghiera pagana, dedicata ad una «Madonna vera», in E di grazia plena: dove lincantamento dellanimo sposa quello dei sensi, la melodia ha la maestà dun canto sacro, il pianoforte arpeggia come in un Lied e la voce - «Alleluja/luccica lanima» - sinebria di luce. Ma non mancano neppure momenti epici: Let it shine evoca luragano di New Orleans, «abitata da persone straordinarie, rammento uno studio che frequentavo e che non cè più».
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