Roma - Mentre Palazzo Grazioli si trasforma per l’intera giornata in una sorta di gabinetto di guerra di tutto il centrodestra con un via vai che non si vedeva da tempo, a Bruxelles già erano al lavoro le diplomazie parallele per cercare una soluzione alla baraonda delle liste elettorali. Così, se a via del Plebiscito Berlusconi incontra uno dopo l’altro lo stato maggiore leghista prima e l’ufficio di presidenza del Pdl poi, al Parlamento europeo è il capodelegazione Mario Mauro a farsi ambasciatore con Napolitano delle ragioni del centrodestra. Il ragionamento - che al capo dello Stato è già ben chiaro visti i continui contatti tra Letta e il Quirinale - è che non è possibile privare del diritto di una scelta democratica quasi 14 milioni di italiani. Considerazione su cui Napolitano concorda nel merito, dicendosi pronto a trovare una soluzione al «vulnus» ma sottolineando la necessità di un via libera dell’opposizione.
E qui sta il punto. Perché certo Berlusconi non ha cambiato idea rispetto a mercoledì, quando nelle sue conversazioni private era arrivato ad evocare «un tentativo di colpo di Stato». Ma sa bene che la strada per riuscire a portare a casa una soluzione è solo quella della mediazione. Per questo prima conferma la sua assenza al comizio della Polverini in piazza Farnese e poi annulla l’appuntamento serale all’hotel Excelsior insieme a tutti gli eletti del Lazio. Perché qualunque sua parola sulla vicenda rischierebbe di far saltare il tavolo. Su cui si gioca una partita delicata, non solo dal punto di vista politico ma anche sul piano tecnico-giuridico. Nelle riunioni con Bossi prima e con i vertici del Pdl poi si riflette infatti sulle varie ipotesi, anche se alle nove di sera Berlusconi si presenta al Quirinale accompagnato da Letta, Maroni, Calderoli e La Russa con una sola opzione: un decreto che riapra i termini di presentazione delle liste in tutte le regioni senza però posticipare le elezioni. Soluzione che non convince del tutto il capo dello Stato, più propenso ad attendere i pronunciamenti del Tar per capire qual è davvero lo stato dell’arte. E in qualche modo la riammissione della candidatura della Polverini nel Lazio (sul simbolo del Pdl nella provincia di Roma si dovrà invece aspettare) sembra spingere in questo senso. Già, perché se il centrodestra chiede un intervento a «tutela della democrazia», il Colle - e anche il Pd - vuole evitare la via del decreto solo per risolvere la grana della lista Pdl a Roma, dove i dirigenti del Popolo della libertà che hanno presentato la lista non sono affatto esenti da responsabilità. Se il Tar desse infatti il via libera a Formigoni - cosa che si dà per molto probabile - l’intervento d’urgenza servirebbe sostanzialmente a questo. Oltre alla possibilità (eventuale) di rimettere mano alle liste di tutte le altre regioni, cosa che ieri sembrava già allettare qualcuno («potremmo fare qualche aggiustamento...», la butta lì in Transatlantico Carlo Ciccioli, coordinatore regionale del Pdl nelle Marche). Di questo si discute al Colle fin quasi alle dieci di sera, quando Berlusconi rientra a Palazzo Chigi. Dove il Consiglio dei ministri straordinario convocato per le 22 viene aggiornato a questo pomeriggio, segno che da Napolitano non è arrivata una chiusura netta. Tanto che vanno avanti fino a mezzanotte le riunioni tra il Cavaliere e mezzo governo (Maroni, La Russa, Scajola, Frattini, Calderoli, Alfano) alla ricerca di una soluzione - resta in piedi l’ipotesi decreto - che superi i dubbi del Quirinale. Già oggi, dunque, il Cavaliere potrebbe ritornare sul Colle, magari con l’obiettivo di chiudere la querelle nel Consiglio dei ministri del pomeriggio.
Una giornata di trattative e mediazioni, dunque. Anche se questo non toglie al Cavaliere la convinzione che ci sia l’intento di «azzoppare il Pdl» per impedirgli un’altra vittoria dopo i successi di Sardegna e Abruzzo. È in atto, è il ragionamento del premier, una sorta di «triangolazione giudiziaria»: da una parte la Procura di Milano che se la prende con lui, dall’altra quella di Firenze che punta su chi è stato in questi anni il simbolo del «governo del fare» e infine le decisioni dei magistrati sulle liste di Formigoni e della Polverini. «Cavillocrazia», la definiva ieri il Mattinale, una sorta di rassegna stampa commentata che arriva tutti i giorni sulla scrivania del premier. Così, ci sta che l’europarlamentare del Pdl Licia Ronzulli si dica pronta ad attivarsi per «chiedere al gruppo del Ppe la presenza di osservatori Osce per le elezioni regionali». Un’idea su cui è d’accordo anche il senatore Francesco Casoli. Al di là delle convinzioni, però, Berlusconi è intenzionato a portare a casa una soluzione, quantomeno in termini di pressione di modo che si riducano al minimo i rischi di una sorpresa del Tar su Formigoni (difficile, invece, recuperare la lista Pdl a Roma).
Per questo nelle tante riunioni dice «basta» alle «polemiche inutili» e alle «guerre per bande». Ora è «il momento dell’unità», poi ci sarà tempo per «il momento delle responsabilità». Chi ha sbagliato, insomma, «pagherà» pegno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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