Il caos nel Maghreb può spingere migliaia di immigrati in Europa

Le misure per contenere i prezzi degli alimenti base prese dal governo algerino sabato non hanno fermato la protesta popolare. Giovani manifestanti continuano a invadere le piazze del Paese, manifestando con violenza contro la crescente inflazione, la disoccupazione e il disagio sociale. Negli scontri sono rimaste uccise quattro persone e sarebbero circa 800 i feriti, la maggior parte tra le forze dell’ordine. Le tensioni non si placano anche in Tunisia, dove il regime del presidente Zine El Abidine Ben Ali ha ammesso la morte di otto persone negli scontri tra polizia e manifestanti, anche qui giovani. Le ragioni della protesta sono simili: il malessere sociale, la disoccupazione, il difficile accesso giovanile al mondo del lavoro uniti alla mancanza di libertà politica.
Le contestazioni algerine sono iniziate soltanto pochi giorni fa, ma il dissenso tunisino va avanti ormai da metà dicembre, senza destare particolari reazioni da parte della comunità internazionale. In Francia, Le Parisien s’interroga sul riserbo della diplomazia nazionale nei confronti della crisi. Per il sito del quotidiano parigino, tra le motivazioni della cautela ci sarebbe anche la preoccupazione delle autorità per un’inasprirsi dei flussi migratori dai due Paesi verso l’Europa. Alla base delle contestazioni, infatti, c’è soprattutto il malessere sociale causato da una difficile condizione economica. «Se mai la situazione dovesse peggiorare – ha spiegato ai giornalisti francesi Karim Pakzdad, dell’Istituto di relazioni internazionali e strategiche di Parigi – la Francia teme il tracimare dell’immigrazione nel Paese, con le tensioni che questo comporterebbe».
La preoccupazione potrebbe non essere soltanto della Francia, che a causa del suo passato coloniale ha un legame particolare con Algeria e Tunisia, ma dell’intera Europa, Italia compresa. Per Abdennour Benantar, ricercatore franco-algerino, il malcontento dei giovani nel Maghreb difficilmente porterà a nuovi importanti flussi migratori. Spiega al Giornale come la situazione sia cambiata da 1988, anno in cui l’Algeria è stata teatro di imponenti sollevazioni popolari che portarono poi alle violenze del fondamentalismo islamico degli anni Novanta. «Tra il 2002 e il 2003 sia Algeria sia Tunisia, in seguito alle pressioni dell’Unione europea, hanno creato un arsenale giuridico che argina tremendamente l’immigrazione: chi lascia il Paese oggi per cercare di entrare illegalmente in un’altra nazione rischia il carcere. Il controllo delle frontiere, soprattutto quelle marittime, è molto forte, ed esistono accordi sull’immigrazione tra governi nordafricani ed europei. Adesso, la maggior parte degli immigrati che raggiunge l’Europa arriva dall’Africa sub sahariana, non dal Maghreb come una volta». È inoltre troppo presto per capire se il dissenso algerino o tunisino andrà avanti abbastanza a lungo da causare nuovi flussi migratori, anche se le misure prese dal governo algerino per arginare l’aumento dei prezzi degli alimenti «avranno un impatto minimo» sulla popolazione, e in Tunisia le proteste non sembrano perdere intensità.
La situazione economica, sociale e politica di Algeria e Tunisia è assai diversa, ma sicuramente esistono alcuni elementi comuni alla base delle tensioni che hanno investito nelle stesse ore i due Paesi. Prima di tutto, secondo Benantar, in piazza ci sono soltanto giovani, ovvero la maggior parte della popolazione. E molti di loro sono disoccupati.

Inoltre, il movimento popolare è completamente apolitico, non esiste un interlocutore, una figura con cui i governi possano parlare: «Questo rende più difficile la gestione della crisi da parte delle forze dell’ordine». E in entrambi i casi, le manifestazioni sfidano regimi autoritari vecchi e incapaci di gestire le richieste di una popolazione sempre più giovane.

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