Quanti amano la libertà spesso sono attratti dal mare: uno spazio aperto che favorisce le comunicazioni e si sottrae a ogni sovrano. E certamente innamorato delle acque aperte e del mercato è il trentenne Peter L. Leeson, che ha scritto un volume ora tradotto anche in italiano: Leconomia secondo i pirati. Il fascino segreto del capitalismo (Garzanti, pagg. 302, euro 21,60). Economista e statunitense, Leeson rovescia la logica di Roberto Saviano. Se questultimo sostiene che il mercato è camorrista, egli mostra come le organizzazioni dei pirati - pur essendo aggressive verso lesterno - funzionassero in maniera efficace perché al loro interno dovevano basarsi su regole rispettose del diritto. Se Saviano evoca la mafia per screditare il mercato, Leeson studia la pirateria per mostrare la validità del modello capitalistico e dellordinamento che lo sottende. In effetti, i pirati erano fedeli alla parola data e perfino orientati a evitare le discriminazioni, tanto che le «piccole repubbliche» galleggianti erano più tolleranti degli Stati che le combattevano. In linea di massima facevano un uso assai parco della forza, poiché il loro obiettivo era rapinare le navi per poi lasciarle andar via, senza torcere un capello agli equipaggi. Oltre a ciò, si basavano su un autogoverno che attirò loro lammirazione di più di un intellettuale.
Il volume unisce unimpostazione teorica da studioso di scuola austriaca e unattenta analisi storica, ma tutto converge a mostrare la razionalità economica sottesa allagire di quanti tra la fine del XVII e linizio del XVIII secolo presero la strada della pirateria. Il mito letterario dei bucanieri dominati da istinti aggressivi viene insomma rigettato. Come sottolinea Giulio Giorello nellintroduzione, «non è perché fossero istintivamente miti o portati alla democrazia che i pirati finirono per scegliere la politica dellintimidazione nei confronti del nemico esterno e quella del buon governo al proprio interno», ma invece perché quei comportamenti moderati e civili «erano, in quella specifica situazione, più vantaggiosi».
Al riguardo è illuminante il titolo originale del libro, The Invisible Hook, dato che esplicitamente accosta Adam Smith e Capitan Uncino, lordine di mercato e le organizzazioni predatrici del mare. La mano evocata dalleconomista scozzese lascia il posto a un rampino dacciaio, la civiltà degli scambi è sostituita dal latrocinio, ma questo non toglie che qualche elemento comune rimanga. Leeson non assolve la pirateria, però recupera una tradizione che relativizza la distanza tra criminalità legale e illegale, tra violenza egemone e marginale. Basti ricordare lepisodio leggendario ricordato nel De Civitate Dei di santAgostino, dove è definita «vera e opportuna» la risposta che un pirata diede ad Alessandro Magno quando gli chiese perché mai infestasse i mari: «dato che io lo faccio con una barca insignificante, mi chiamano malfattore, e poiché tu lo fai con una flotta eccezionale, ti chiamano imperatore». Leeson usa gli stessi criteri del Padre della Chiesa per giudicare Alessandro e il pirata, re Giorgio I dInghilterra e il «principe dei pirati» Samuel Bellamy.
Lautore evidenzia poi come la logica economica pervada ogni ambito. Pur separando il comportamento delle imprese di mercato, che soddisfano il pubblico, e quello delle bande di rapinatori, che invece lo derubano, egli ritiene proficuo esaminare in che modo la cooperazione conti anche allinterno delle istituzioni criminali e come talune regole valgano ovunque. In tal senso, la razionalità strategica aiuta a comprendere soprattutto i comportamenti meno lineari: come a esempio una forte integrazione dei neri nelle ciurme nonostante il diffuso razzismo.
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