nostro inviato al Passo del Tonale
Caro diario, il signore del Giro si chiama Ivan Basso. Signore delle cime, signore e basta. Mi sembra perfetto che l'apoteosi trionfale l'attenda questo pomeriggio proprio dentro l'Arena di Verona, un luogo adatto alle grandi rappresentazioni, ai grandi primattori, ai grandi assoli. Sembra già di sentire in lontananza la marcia dell'Aida.
Un finale così prestigioso è quello che serve, per l'impresa celebrata. Caduto sulle terre bianche di Montalcino, rimasto con la zampa dentro la tagliola dell'Aquila, Basso corona una rimonta spaventosa. All'attacco - e secondo dietro il figlioccio Nibali - sul monte Grappa, primo e imbattibile sullo Zoncolan, favoloso e incontenibile sul Mortirolo. Persino nell'ultima prova, che lo attende con la famigerata discesa del Gavia, dimostra la stoffa del migliore. Freddo, lucido, sicuro. Controlla bene con la squadra, tiene tutti dietro, quindi va sull'ultima salita di questo Giro tutto in salita e regala l'ultima pennellata. Quando il campione del mondo Evans tenta l'attacco dell'orgoglio, a tre chilometri dall'arrivo sul Tonale, e quando Scarponi lo segue per dare la caccia al podio, Basso si mette a fare il gregario di Nibali - al momento affaticato - e va a battere in volata proprio Scarponi, portandogli via l'abbuono del terzo posto. Cioè corre per trascinarsi sul podio il fedele compagno, giovane talento, fuoriclasse di domani. Così è Basso. Generoso, leale. Signore delle cime, signore e basta.
La lunga rincorsa, disseminata di sudore e spettacolo, si chiude qui: nella cronometro di Verona, quindici chilometri e niente di che, soltanto un Tir lanciato contromano può sfilare il trofeo a Basso. È il suo secondo Giro d'Italia. È molto diverso dal primo. È più credibile, più vero, più trasparente. Il 39 di ematocrito, forse, esprime il concetto meglio di tanti discorsi.
Poi c'è l'altro Giro, il resto del Giro. Quello dei battuti. Arroyo, per quanto lumacone, ha un vantaggio corposo per difendere il posto d'onore. La questione più aperta sembra quella legata al terzo posto: concorrono Nibali e Scarponi, divisi da un solo secondo, con Nibali più forte nella specialità, ma concorre anche l'eroico Evans, campione del mondo e grande cronoman. Auspicio personale: sarebbe bello che il canguro almeno vincesse la tappa, perché di tutti gli avversari è apparso il più nobile e il più amabile.
Caro diario, sono comunque dettagli secondari. La storia non si occupa di queste frattaglie. La storia, piuttosto, registra doverosamente che l'Italia trova lungo le sue strade impervie, le più difficili e le più feroci del mondo, un campione come Basso e una speranza come Nibali. Basso il presente, Nibali il futuro. Basso oggi, Nibali domani. Finalmente, si colma una voragine che sembrava incolmabile: è dall'ottobre del 2008, quando Cunego vinse il Giro di Lombardia, che non vinciamo niente di serio. Adesso ci siamo: abbiamo due uomini per coprire un decennio. Basso andrà subito a sfidare anche Contador al Tour, presentando credenziali super (però attenzione: a cronometro lo spagnolo sembra ancora troppo forte per Ivan). Nibali lo farà più avanti, con calma: a 25 anni bisogna evitare il rischio spremitura. Sarebbe un delitto.
Ma oltre a tutto questo, caro diario mio, c'è forse qualcosa che risulta ancora più importante: con Basso, con Nibali, il Giro ritrova anche l'Italia e gli italiani. Il processo di riconciliazione nazionale non è ancora concluso: troppi gli arretrati che i nostri eroi devono ancora scontare. Però i segnali sono buoni. Questo Giro durissimo, campionato mondiale della fatica, unico reality reale della resistenza umana, porta sul traguardo finale dei poveri resti umani. Li guardo in faccia mentre arrivano sul Tonale, uno alla volta. La sfilata è penosa.
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