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«Caro Berlusconi, io me ne vado» E l’Italia scopre che La Malfa esiste

RomaIl motore berlusconiano perde un bullone per strada. Si tratta di Giorgio La Malfa, ossidato esponente del Partito repubblicano italiano, in Parlamento sotto le insegne del Pdl. La Malfa sbatte la porta del centrodestra, ma non quella di Montecitorio, inviando il suo cahier de doléances al Corriere della Sera. «Sono deluso, Berlusconi addio» è il titolo della lettera con cui, scimmiottando Veronica Lario, annuncia il divorzio dal Cavaliere.
Una separazione motivata dal «disagio» per il «deludente bilancio di questo primo anno e mezzo di legislatura». Al veterano parlamentare, nel Palazzo dal 1972, non vanno giù le scelte economiche del governo, «tanto più in questa difficile crisi mondiale». Un lamento che arriva, curiosamente, nel medesimo giorno in cui il mai tenero con l’esecutivo di centrodestra Diego Della Valle ammette in un’intervista a Repubblica che «questo governo, con le risorse che aveva a disposizione, ha fatto quel che poteva. Mi pare che si stia percorrendo la strada giusta».
Per La Malfa no. «Le due linee portanti del programma del centrodestra erano la riduzione della pressione fiscale e le liberalizzazioni». Non accortosi dell’abolizione dell’Ici sulla prima casa, La Malfa scuote la testa e dice che così non va, non ci sta più. Sì, proprio lo stesso La Malfa collega di partito di Bruno Visentini, quello dell’Irpef e del sostituto d’imposta. Insomma, il Visco ante litteram. Seppur alla guida di un partito che nella prima Repubblica ha contribuito a far gonfiare il debito pubblico come un aerostato, La Malfa accusa che, «viste le dimensioni del debito pubblico» occorreva «una riduzione della spesa corrente». Non accortosi neppure degli attuali sforzi di Brunetta per snellire il mostro della Pubblica amministrazione, animale cresciuto proprio durante la prima Repubblica di cui il suo Pri ne era una colonna portante, La Malfa geme che «sia stato accantonato ogni progetto di riordino della Pubblica amministrazione» e che «la Pubblica amministrazione è insopportabilmente estesa e costosa». Non accortosi della fatica con cui la Gelmini sta rivoluzionando quel vero e proprio assumificio che è stata la scuola italiana fin dai tempi della prima Repubblica in cui prosperava il suo Pri, La Malfa si duole che il «la scuola e l’Università, da cui nasce l’innovazione, versano in condizioni disperate». Stando così le cose, per La Malfa «una fase s’è chiusa ed è necessario aprire una riflessione per realizzare una svolta politica indispensabile».
Una svolta su cui il glorioso arnese repubblicano ha dibattuto ieri con il presidente della Camera Gianfranco Fini trovando, parole di La Malfa, «un simile sentire» su diverse questioni. Così, il canuto onorevole si rilancia nel panorama politico, mosso da una sola bussola: «Il punto di partenza - dice - per me è e rimane quello dello sviluppo economico e dei giovani». Nuovi scenari, quindi? La premessa è questa: «gli schieramenti politici devono costituire una risposta ai problemi». In effetti per il Pri lamalfiano è sempre stato così: pentapartitico per una vita, nel centrosinistra nei primi anni Novanta (Alleanza democratica), al centro nel ’94 (Patto per l’Italia), nell’Ulivo nel ’95, nel centrodestra nel 2001. E da sinistra sono già arrivate le lisciate di pelo.

Vincitore della corsa all’elogio al transfuga, il deputato del Pd Sandro Gozi: «Rinnovare la stima e l’amicizia che mi lega all’onorevole Giorgio La Malfa, sono pronto ad offrire la disponibilità per un dialogo serio e aperto sui punti di condivisione e di incontro e per verificare se un cammino comune è possibile e concretizzabile».

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