Cultura e Spettacoli

CARTER Angelica strega dell’eros

Esce in Italia la raccolta completa dei suoi racconti, nei quali l’autrice inglese rivela una visione «trasversale»: tra la Bella e la Bestia, tra i cioccolatini e De Sade

Chissà che cosa avrebbe scritto Angela Carter, spavalda e caparbia esploratrice del legame tra erotismo e sottomissione (tanto da porsi la domanda letteraria del secolo: «Come può una ragazza carina come Simone perder tempo a leccare il culo di un vecchio noioso come Jean Paul?»), del libro-confessione di Toni Bentley, Surrender, scelto dal New York Times come uno dei migliori dell’anno, in cui l’ex ballerina di Balanchine narra step by step il suo percorso netto per vincere la battaglia fra i sessi. Chissà come avrebbe commentato la Carter, che ormai oltre un quarto di secolo fa, nel saggio La donna sadiana, difese l’immagine femminile proposta dal Marchese, la scoperta della Bentley, il sesso anale e le infinite variazioni sul tema, la sua pragmatica epifania (mai più la parte per il tutto, come nel sesso tradizionale, bensì la parte. Ed è tutto. Poi, vai a cena con chi ti pare) e la mistica agnizione (sottomettere il corpo di una donna non significa piegarne lo spirito. Si può farsi fare tutto, basta essere in grado di lasciare lui al momento giusto).
«La genialità della Carter trasforma la favola della Bella e la Bestia in una metafora dei mille e mille desideri e pericoli del rapporto sessuale. Qui è la Bella e non la Bestia a essere più forte», scrisse Salman Rushdie nella prefazione a tutti i racconti della Carter, usciti in Inghilterra nel 1996 con il titolo Burning your boats e ora pubblicati in Italia da Corbaccio in una raccolta intitolata Il vuoto attorno (pagg. 650, euro 23). E fin dal racconto che apre il volume, L’uomo che amava un contrabbasso, datato 1962, è chiaro come la Bella e la Bestia per Angela Carter non siano mai stati la femmina e il maschio semplicemente contrapposti: Johnny Jameson, il contrabbassista, la Bestia, è un ometto tranquillo, ma «pazzo come un cavallo». Tanto folle che «quello splendido, lucido, voluttuoso contrabbasso era per lui madre, padre, moglie, figlio, amante, e lui lo amava di una passione profonda e costante». Il contrabbasso si chiama Lola. E Lola è fatta come una donna, dal seno e dai fianchi pieni e con in sé qualcosa di sacro. E Lola, una donna, ma anche Lola la passione, Lola il sacro, Lola la Bella, porterà Jameson alla follia estrema: l’autodistruzione.
Ai primi racconti del volume, datati tra il 1962 e il 1966, seguono i «nove pezzi profani» di Fuochi d’artificio (1974), i dieci che la resero famosa e che vanno sotto il titolo di La camera di sangue (1979), la raccolta Venere nera (1985) e gli ultimi, Fantasmi americani, apparsi l’anno successivo alla sua morte: in tutti, la Bella e la Bestia possiedono i sessi in modo trasversale e si rivelano attraverso l’amore e il sangue, il bosco, luogo del sogno, dell’incanto e degli amanti, e la foresta, luogo dell’incubo, dei mostri, delle streghe. Due entità, ognuna con proprie naturali e sovrannaturali manifestazioni, dapprima risolte nelle scioccanti e illuminanti reinvenzioni che divennero peculiari alla Carter, e per le quali si ispirò alla fiaba, alla favola vittoriana, a Shakespeare e a Lewis Carroll, e più tardi fissate in ritratti iperrealistici per i quali saccheggiò, e sabotò, Baudelaire e Poe, ma anche Hollywood.
Narratrice, saggista, ma anche giornalista, docente universitaria e critica letteraria, nata nel 1940 a Eastbourne, nel Sussex, e scomparsa nel 1992 a Londra, sposatasi a soli vent’anni, dopo un’adolescenza martoriata dall’anoressia, separatasi nel 1970, alla vigilia di un’illuminante permanenza di due anni in Giappone, Angela Olive Carter pubblicò il suo primo romanzo, Shadow Dance, una detective story, nel 1966 e già con il secondo, La bottega dei giocattoli (1967), vinse il Rhys Prize. «Posso datare all’estate del 1968 il principio del mio interrogarmi: volevo comprendere come si fosse creata la finzione sociale della mia femminilità grazie a mezzi che sfuggivano al mio controllo e come era possibile che mi venisse rifilata come la realtà» scrisse di sé la Carter. E la sua lenta, costante opera di demistificazione degli stereotipi sessuali occidentali portò la critica a definirla «angelica strega cuciniera di favole», «divertimento per chi ama gustare cioccolatini e De Sade», «terrorista letteraria d’avanguardia del femminismo» e attribuì ai suoi scritti un ruolo centrale nel logoramento delle cinghie con cui si tentava di imbrigliare il dibattito sul pluralismo femminista e sul post-modernismo.
Belle e bestie, gotico e realismo magico, erotismo e violenza sono temi presenti solo in parte agli inizi. Il primo obiettivo d’indagine della Carter riguardò la comprensione del meccanismo fittizio dell’antagonismo tra i sessi attraverso la ricostruzione narrativa del momento primordiale in cui i sessi divennero, appunto, due: in Le infernali macchine del desiderio del dottor Hoffmann (1973), l’enigmatica Albertina, ovvero una donna, è più potente delle più diaboliche macchine inventate dal più folle scienziato (guarda caso, suo padre) per spedire l’immaginazione diritta al potere e destabilizzare per sempre l’ordine costituito; in La passione della nuova Eva (1977) tocca a un protagonista maschile, Evelyn, incarnare la cavia del desiderio alchemico di uno scienziato femmina, la Madre - sorta di Prospero shakespeareano anticipatore delle teorie transgender - che vuole cambiargli sesso e fecondarlo con il suo stesso seme, perché dia vita ad un nuovo messia.
Sarà con Notti al circo (1984) e infine con Figlie sagge (1991), che Angela Carter riuscirà finalmente a ricomporre il puzzle più complesso di tutti, costituito da sole due tessere: il maschio e la femmina. Lo farà attraverso la riscrittura della favola e del romanzo borghese, smaltati da psichedelie barocche tra De Quincey e Isak Dinesen e trasformati così in fluorescenti armi letali di risveglio critico, capaci di scuotere conscio e subconscio più a fondo di una seduta psicoanalitica.
Chissà dunque l’Angela Carter autrice di La camera di sangue (1979), racconto in cui la vergine adolescente viene salvata dalle torture del maturo neo-sposo - che ha già trucidato tre consorti - da una mamma ex giustiziera di tigri e pirati cinesi, che cosa avrebbe pensato di questa nuova specie di femmina, la «virago-surrender», che ancora una volta casca (e senza nemmeno poter guardare in faccia l’avversario) nel tranello di Barbablù, ovvero: «Piccola mia, la guerra fra i sessi esisterà per sempre. Questa è la chiave per l’inferno, ma se vuoi conoscermi a fondo non devi fare altro che violare i miei divieti e infilarla nella serratura».

Chissà se avrebbe riso, la Carter, di questa femmina del ventunesimo secolo che crede di nuovo all’Uomo e alla Donna, che si possiedono, si mentono e poi tornano soli, e ha dimenticato quanto era tanto più divertente, e soddisfacente, farsi possedere dalla Bella e dalla Bestia, insieme.

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