Politica

Casa Gramsci, veleni a sinistra sulla vendita

Paolo Bracalini

da Milano

È scoppiata una lite di famiglia e sono volati i piatti anche tra le mura di quell’edificio che per la sinistra dovrebbe essere una specie di sacrario. Dal primo giorno all’ultimo, l’asta pubblica che trasformerà la casa di Antonio Gramsci in un hotel a cinque stelle è stata teatro di litigi e zuffe dentro la maggioranza che governa Torino. Contrari per principio all’operazione i Comunisti di Marco Rizzo, che avrebbero sperato in altra destinazione per Palazzo Coardi Carpaneto a Torino, seicentesca sede dell’ex Albergo di Virtù della Compagnia di San Paolo e soprattutto residenza dove il fondatore del Pci Antonio Gramsci visse tra il 1913 e il 1922 e dove operò la redazione di «Ordine Nuovo», il quaderno della nuova cultura bolscevica reinterpretata dal filosofo.
Ma l’eredità dei «consigli di fabbrica» gramsciani si è dissolta nelle delibere del consiglio comunale, che invece di ristutturare il palazzo ha deciso di vendere. E per giunta ha gestito la vendita maldestramente e ora si ritrova con due assessori che bisticciano e una grossa catena alberghiera svedese, la Radisson Spa, che ricorre al Tar contro il Comune. Perchè alla fine gli svedesi hanno perso la gara in modo rocambolesco, da commedia degli equivoci, tanto che è lo stesso assessore al Bilancio Gianguido Passoni (Pdci) a burlarsi del collega colpevole di «dilettantismo» e di aver concluso l’affare con un bel «flop economico». La Radisson non si è aggiudicata il palazzo perchè si è presentata con un assegno circolare da 710mila euro, mentre il bando prevedeva un assegno bancario. Un cavillo procedurale che lasciato la strada libera all’unico altro concorrente, la spagnola Nh a cui è associata l’«immobiliare Galileo» di Riccardo De Giuli, impresa che ha ristrutturato gran parte del centro storico torinese e che si è potuta aggiudicare l’ex casa di Gramsci rilanciando solo di 7mila euro.
Così il Comune ha finito con l’incassare 7 milioni di euro invece dei 18 previsti, lasciando l’abitazione gramsciana al suo destino. Gli svedesi hanno più volte segnalato le molte stranezze del bando, i dubbi sulla serietà dell’operazione, minacciando a più riprese di lasciare. Poi l’equivoco sull’assegno e la débâcle finale. «Le vendite immobiliari a Torino sono come il calcio per la Germania, partecipano tutti ma alla fine vincono i De Giuli» commenta l’entourage di Pdci e Rifondazione in un’indiscrezione raccolta dalla Stampa. Ai dubbi dei Comunisti replica piccato l’assessore alle Politiche per la casa Roberto Tricarico (un chiampariniano): «Non ho niente da nascondere. Non accetto sospetti. È vero, vado a mangiare spesso nei ristoranti dei De Giuli, ma questo cosa significa?». Con il ricavato il Comune finanzierà la costruzione di nuove case popolari a Torino, assegnate ad un pool di imprese tra cui casualmente figura ancora l’«immobiliare Galileo». E la casa di Gramsci? Sarà sventrata con il resto dell’edificio, che presenta seri problemi di stabilità, in tre anni di lavori, per realizzare un hotel con 120 suite extralusso.

Quando si dice dei ricorsi storici.

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