«La casa di Pertini vale la metà di quello che paga Burlando»

I concittadini dell’ex presidente: «Era un irascibile, non ha mai fatto niente per noi: qui il gas arriva ora»

«La casa di Pertini vale la metà di quello che paga Burlando»

(...) da quando sente parlare di sta storia della vendita: «Io non lo voglio proprio qui un museo, Pertini non ha mai fatto niente per Stella. E poi sa cosa? Quello non è nemmeno l’appartamento dove è nato». Fuori c’è un giovane che fa il giro delle case. Dice: «Porto il gas ma non lo scriva, che sul gas qui ci sono state già abbastanza polemiche». Perché, ecco, a Stella non c’è mai arrivato, il gas. Si va avanti a bombole, stanno accatastate dal benzinaio e bisogna andarle a prenderle, come una volta. Il museo? «Faccia lei, qui ci abitava il presidente della Repubblica e il gas lo stiamo portando ora». Pietro Beccia abita qui da un anno e mezzo: «Mi raccontano che avesse un caratteraccio, instabile e irascibile. Trovo esagerata l’idea di un museo». E mica perché i turisti verranno qui a turbar la quiete: «Macché, ma quali pullman. La verità è che sarà una spesa inutile perché non ci verrà nessuno: quando fanno le feste per la commemorazione ci son quattro gatti».
I quattro gatti sono quelli dell’associazione «Amici di Sandro Pertini», Aldo che è morto poco tempo fa ma fino all’ultimo andava al cimitero a occuparsi della tomba, Maria Garbarini sua moglie e con lui fondatrice dell’associazione che alla fine ammette: «La Regione ci da una mano, perché non abbiamo una sede e quando arriva la gente si aspetta di poter visitare la casa e domanda come mai non ci sia un museo».
Una mano, ecco. E che mano. Se entri all’agenzia Cinque Stelle c’è Antonella che ti fa due calcoli. Lei l’ha vista tante volte, la casa che la Regione adesso vuol comprare, 180mila euro per l’acquisto, altri 70mila per la ristrutturazione già deliberati dalla giunta Burlando. Saliva a prendere il caffè dalla Lisetta Freccero, è stato dopo la sua morte che i figli hanno deciso di vendere. «In quella casa non c’è riscaldamento, l’impianto elettrico non è a norma e non ci sono neppure le solette di cemento». Ricorda di quando vendettero quello sopra, di appartamento, il terzo alloggio del casale che un tempo, nel lontano Ottocento, fu della famiglia Pertini e che poi venne frazinato. «Son passati dieci anni, ma le dico che la cifra non è paragonabile». E poi: «Qui a Stella le case perfette e rifinite costano duemila euro al metro quadro. Ma per una casa come quella, da ristrutturare per intero, il prezzo normale sarebbe dovuto essere la metà, mille al metro quadro». Che per i 90 metri quadri che la Regione sta acquistando fanno 90mila, mica 180mila.
E infatti è l’affarone della famiglia Freccero che tiene banco qui a Stella, fra i due bar della piazzetta davanti alla chiesa. Così come a Genova, piazza De Ferrari, dove però, visto dalla parte dell’acquirente, l’affarone è davvero un brutto affare, che si stanno spendendo soldi pubblici e nemmeno una perizia è stata fatta. Quassù, fra un bianco e una partita a carte se la ridono, che tanto gli unici che lo volevano comprare quell’appartamento erano giusto i fratelli Tonna, Dario e Davide i pronipoti di Pertini. Loro negano, e negano anche di aver mai chiesto aiuto a Gianni Plinio il capogruppo di An per ristabilire la verità. Ma qui a Stella anche su quello se la ridono, che tutti pensano che la partita vera sia quella sul prezzo, e la politica è contorno.
Il resto è storia di un paese che da 50 anni litiga sulle stesse cose. Democristiani contro socialisti e non c’è verso di metterli d’accordo. «L’immagine di Pertini si è rovinata col tempo, perché Tangentopoli sarà anche scoppiata nel 1992, ma che il partito socialista agisse con certi metodi lo sapevano tutti» dicono i primi. Bestilaità, ribattono gli altri: «La verità è che Pertini era fin troppo onesto e di cose ne ha fatte fin troppe per questi qui. Ha fatto lui l’acquedotto, il municipio e la chiesa, ma i democristiani non volevano i soldi che lui faceva arrivare e quando veniva qui stavano a casa con le finestre chiuse».

Lui se ne faceva un baffo. Burbero, appunto. «Il fratello Pippo era un fascista, fu anche podestà a Savona - racconta Eusebio -. Loro in casa si picchiavano, ma fuori non facevano mai trasparire nulla». Forse, il museo gli vieterebbe di farlo.

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