da Roma
Ansiosi di dimostrare che il voto sullAfghanistan non segna linizio di un percorso irreversibile. Ma senza rimettere in discussione nessuna delle recenti scelte. LUdc ha affrontato il giorno più difficile, quello della presa datto della «separazione» degli altri tre partiti di opposizione, facendo leva su un doppio registro. Lattacco a Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord, con il leader Pier Ferdinando Casini che ha accusato Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini di «andare verso un leghismo populista». E quello della mano tesa. Che consiste nellinvito a «ripartire»: «Cerchiamo un supplemento di riflessione tutti assieme». Parole pronunciate dallo stesso leader dellUdc, ma in unintervista rilasciata prima che Silvio Berlusconi riunisse i parlamentari del centrodestra per sancire la «separazione» e offrisse una ricomposizione.
Di quello che è stato detto nella sala della Regina, Casini non ha mandato giù lidentificazione di Forza Italia con il Grande centro. Semmai - ha ribattuto - è stato lUdc con il suo voto a «salvare lonore dei moderati». Perché «nessun uomo politico responsabile del centrodestra, in Europa e nel mondo, può permettersi di votare contro le missioni militari di pace e contro i propri militari. Il populismo non porta da nessuna parte, soprattutto porta a sconfitte elettorali». Nessuna risposta allaccusa, anche questa mossa da Berlusconi, di voler fare lago della bilancia - cioè decidere di volta in volta quale coalizione appoggiare e decidere così i destini del governo - se non nel richiamo allideatore di quellespressione. «Se pensa che il paragone con Craxi mi debba indignare si sbaglia. Craxi è stata una grande personalità politica del nostro tempo, e se non faceva alcuni sbagli forse sarebbe stata una delle migliori».
Anche la battuta sul «centrino» di Gianfranco Fini lascia il segno. E il segretario Lorenzo Cesa replica al leader di An assicurando che «non vogliamo fare gli interessi né della sinistra né della destra, ma quelli dellItalia». E tra questi Cesa include anche una riforma elettorale che adotti il sistema tedesco. Cioè il proporzionale con lo sbarramento, che ieri ha rilanciato anche il ministro dellInterno Giuliano Amato, guadagnando il plauso dei centristi.
Anche il vicesegretario Mario Tassone assicura che non è in gioco la collocazione dellUdc. «Se qualcuno si illude credendo che martedì sera al Senato sia avvenuta una svolta nella storia della politica italiana - assicura - dimostra di non capire: il nostro atteggiamento nei confronti del governo era e rimane negativo». Poi però auspica una scomposizione degli schieramenti che svincolerebbe il partito della Vela da ogni costrizione. «Ciò che occorre comprendere - spiega Tassone - è la necessità di superare questo sistema bipolare, che soffoca e paralizza il Paese. Dopo quindici anni di transizione, lItalia ha un bisogno disperato di tornare a una politica normale».
Ma quello della frattura con il resto del centrodestra non è lunico cruccio dellUdc. Cè anche il fronte aperto a sinistra, con Bruno Tabacci che ribadisce le tesi esposte dal partito al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «La maggioranza - osserva - è arrivata a 155, ma con mille distinguo come le dichiarazioni di voto delle senatrici Menapace e Palermi, lontane dalla politica estera del governo».
Difficile dire se questa offensiva avrà successo. Quello che è certo è che i piani dei centristi non corrispondono a quelli del segretario Ds Fassino, che ieri ha auspicato un allargamento della coalizione a Udc e Lega, senza però perdere pezzi della coalizione che sostiene il governo.
Prospettiva respinta con forza dal capogruppo alla Camera Luca Volontè. E anche da Carlo Giovanardi, che ne approfitta per segnalare il paradosso di Fassino che vorrebbe il Carroccio e la Vela insieme a sinistra.
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